lunedì 29 gennaio 2024

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 45: i blue jeans in Italia

E' solo a partire dagli anni cinquanta che in Europa inizia a svilupparsi una vera e propria industria del jeans, sull'onda del fascino lasciato dai marines americani. In Italia, fino al secondo dopoguerra, il jeans si era visto solo nelle pellicole dei film western americani. L'esigenza andò però ben presto cambiando: non si voleva più creare dei semplici pantaloni da lavoro, resistenti e pratici, ma bensì realizzare qualcosa di nuovo e di bello. L'Italia senza dubbio ha saputo dare una nuova anima a questo indumento. Il percorso del jeans italiano si è mosso su due filoni: il jeans basic, prodotto da marchi come Roy Roger's, Rifle, Casucci e Carrera, e il designer jeans, proposto da brand come King's, Bell Bottom e Fiorucci.


L'Italia ha mosso i suoi primi passi con i cenciaioli toscani che nel dopoguerra acquistavano e poi rivendevano giacche, salopette e pantaloni lasciati  dai militari americani ritornati in patria. Si trattava di abiti di seconda mano che si potevano comprare sui banchi dei mercati. Questo piccolo commercio iniziale si ingrandì in seguito con l'importazione di capi direttamente dall'America e infine, quando i  il denim sembrava essere il tessuto più ricercato dai giovani del tempo, alcuni commercianti capirono che era arrivato il momento di avviare una vera e propria produzione italiana.




I pionieri italiani della realizzazione di jeans furono Roy Roger's e Rifle.

Roy Roger's

Quello che oggi è un colosso del made in Italy è nato come azienda di famiglia dalla visione dei coniugi Bacci alla fine degli anni quaranta. Inizialmente realizzavano artigianalmente pantaloni più che altro da lavoro in cotone e gabardine, poi decisero di andare a New York con l'intenzione di stipulare un accordo con la Cone Mills Corporation, che era il maggior fornitore di marchi come Levi's e Wrangler, il tempio della produzione di denim americana. Nacque così il primo marchio di blue jeans in denim originale confezionati in Italia. Il nome Roy Rogers venne depositato nel 1952 ed era quello di un sarto americano conosciuto durante il viaggio negli Stati Uniti. I primi jeans dell'epoca erano però molto diversi da quelli di oggi: le tecniche di lavorazione erano primitive ed il tessuto era più rigido, ci volevano parecchi lavaggi e bisognava indossarli molte ore per vederli ammorbidire.

Il fenomeno Roy Roger's esplose definitivamente negli anni sessanta, quando i pantaloni in denim diventarono emblema di cambiamento rispetto all'abbigliamento formale e simbolo della contestazione giovanile in totale rottura con i modelli sociali delle generazioni precedenti. Per alimentare il mito americano, tutta la comunicazione del marchio si decise di scriverla solo in inglese, etichette e manifesti pubblicitari, tanto che ancora oggi alcuni credono che si tratti di un prodotto proveniente dagli Stati Uniti. Alla fine degli anni settanta l'azienda arrivò a produrre circa 20.000 paia di pantaloni al giorno. Negli anni novanta venne riposizionata a un livello più alto del mercato, lavorando sulla qualità del tessuto e apportando innovazioni tecniche di sbiancamento e lavorazione. Dal 2003 inizia l'ascesa nell'alta gamma e oggi a portarla avanti con grande successo sono i nipoti dei fondatori, che stanno rilanciando il marchio con collezioni che puntano alla reinterpretazione in chiave contemporanea dei capi provenienti dall'archivio aziendale. Non manca una nuova linea più attenta all'ambiente che usa solo tinture naturali. (Natural Garment Dyed) 


Per chi volesse saperne di più consiglio il libro 
Roy Roger's. Non c'è futuro se non hai una vera storia. Naldini. Mauro Pagliai Editore

Rifle

L'altro grande marchio, che si sviluppò anch'esso in Toscana, fu Rifle. La leggenda narra che i due fondatori dell'azienda, Giulio e Fiorenzo Fratini, acquistassero vecchie divise militari per tingerle e poi rivenderle come stracci a Prato, e tra queste un giorno trovarono un paio di pantaloni mai visti prima, che destarono la loro curiosità. Scoprirono che quel tipo di tessuto, il denim, veniva prodotto in America e decisero di partire all'avventura. Era il 1949 e i due fratelli mossero i primi passi verso la creazione della loro azienda, che inizialmente si chiamava Confezioni Fratini e circa dopo una decina di anni la trasformarono in Rifle. Nel 1958 iniziarono la loro produzione con pantaloni fortemente ispirati ai Levi's, che si portavano risvoltati per rievocare lo stile country. Tutte le immagini pubblicitarie richiamavano il selvaggio western e il mondo del rodeo. Il marchio ebbe un successo crescente negli anni sessanta fino agli ottanta, periodo di massima distribuzione, quando in tutta Italia si diffuse il fenomeno di costume conosciuto come Paninaro e indossare un paio di Rifle divenne uno status symbol. Interessante è ricordare che fu il primo marchio ad esportare jeans, apprezzati soprattutto per la loro comodità e resistenza, nei paesi dell'est Europa, tra i quali la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, la Jugoslavia e anche la Germania Est, infatti in quei luoghi la parola “rifliska” era sinonimo di jeans. Negli anni ottanta nei bazar governativi russi andavano a ruba i mitici jeans modello 881.

Poi però i gusti del pubblico e le mode cambiarono e per l'azienda, incapace di stare al passo con i tempi, iniziò un lungo periodo di crisi, con vani tentativi di ristrutturazione e nuovi investitori esteri. La pandemia di Covid ha portato infine al fallimento, dichiarato dal tribunale di Firenze nell'ottobre del 2020.




Se negli anni cinquanta in Toscana le aziende si sono concentrate sulla produzione di pantaloni basici ispirati al western style americano, negli anni sessanta, in Italia e precisamente in Veneto, si aprì un nuovo tipo di ricerca che trasformò i jeans classici in un prodotto fashion. In Italia, tra il 1964 e il 1969 nacquero diverse aziende importanti tra le quali King's e Bell Bottom e due furono i più grandi innovatori del settore: Elio Fiorucci e Adriano Goldschmied.


Elio Fiorucci

Merita un posto d'onore nell'industria del jeans made in Italy per la sua acuta abilità nel fiutare con anticipo i trend globali, in quanto grande conoscitore del mercato. Quando cominciò a muovere i primi passi nel modo della moda l'immagine dei jeans era ancora legata quasi esclusivamente ai brand americani. Lui prese questo capo di abbigliamento, lo liberò completamente dall'immagine western e lo trasformò nel mezzo tramite il quale esaltare la sensualità del corpo femminile. Una vera rivoluzione! Inserì nel denim la Lycra, che consentiva al capo di espandersi e restringersi nuovamente, per risultare perfettamente aderente, mettendo in evidenza ogni curva. Il modello Buffalo 80 divenne un oggetto di culto. 



Adriano Goldschmied

Ha dedicato la vita intera al jeans, lanciando moltissimi marchi del denim italiano e collaborando con diversi importanti brand da cui Esprit, Fendi, Trussardi, DKNY. La sua carriera cominciò molto preso, all'età di vent'anni, quando si trasferì a Vicenza, dove iniziò a sviluppare una rete di imprese, persone e relazioni, che trasformarono il Veneto nella patria del jeans italiano moderno, o meglio, del fashion jeans, che a partire dagli anni sessanta diviene oggetto di moda e lusso, simbolo di una nuova società più internazionale. I nuovi jeans non erano più prodotti con un tessuto semplice e povero, ma in questi anni venne migliorato nei requisiti tecnici e qualitativi. Nel 1978 a Vicenza Adriano Goldschmied fondò il Genius Group, in cui confluivano i più innovativi brand del periodo, un piccolo impero del denim moderno italiano. Da questo gruppo, scioltosi nel 1985, nacquero quelli che ad oggi sono i due colossi del jeans italiano: Diesel di Renzo Rosso e Replay di Claudio Buziol. 


Gli anni settanta del denim italiano sono stati quindi caratterizzati da un processo di internazionalizzazione delle aziende e da un vero e proprio boom del mercato. Tutti i marchi sviluppatisi in questo periodo riuscirono a trovare la loro posizione nel settore. Il jeans italiano si distingueva per la meticolosità e la cura dei dettagli, per lo stile unico, per la ricerca del taglio e del fit perfetti e per la maestria con cui venivano eseguiti i trattamenti in capo. Il fenomeno che si stava sviluppando identificava il jeans come simbolo di una rivoluzione del costume e della cultura. 

Negli anni ottanta si viene a sviluppare un nuovo e radicale cambiamento nelle tendenze dei consumatori che iniziano a preferire capi sui quali sia evidente la firma che portano. Si passa alla società Yuppie. La griffe diventa un elemento per distinguersi e il marchio è più importante del pantalone stesso. I grandi stilisti iniziano ad interessarsi a questo capo di abbigliamento e nesce il jeans griffato dell'alta moda. 

Concluderei con un breve cenno all'azienda torinese Jesus Jeans, indimenticabile per le sue audaci campagne pubblicitarie ancora oggi ritenute tra gli eventi più importanti della pubblicità in Italia. I loro spot accesero forti polemiche, ci fu chi gridò allo scandalo, e non tardò ad arrivare la censura da parte della chiesa, del mondo politico e della magistratura. La campagna venne tacciata di blasfemia e vennero sequestrati i manifesti. Va ricordato l'articolo di Pier Paolo Pasolini pubblicato il 17 maggio 1973 sul Corriere della sera che preannunciava la fine della chiesa. La campagna era composta da un’immagine che immortalava il busto androgino di una modella con i pantaloni sbottonati, con il claim che recitava ”Non avrai altro jeans all’infuori di me”, e da una seconda immagine di un fondoschiena incorniciato da un paio di hot pants, accompagnata dallo slogan ”Chi mi ama, mi segua”. La vicenda innescò chiaramente un crescente interesse nei confronti dei jeans che divennero il simbolo indiscusso della battaglia dei giovani per l'indipendenza e l'emancipazione e naturalmente della rivoluzione sessuale in corso in quegli anni. 






*i paninari: All'inizio degli anni ottanta nacque a Milano questa sottocultura urbana, una sorta di risposta totalmente disimpegnata alla militanza politica dei precedenti anni settanta. Fenomeno sorto nel centro della città tra i figli delle famiglie bene che frequentavano le scuole private, si distingueva per un look estremamente curato e costoso, composto unicamente da capi di marca.

* gli Yuppies: A metà degli anni ‘80 si diffuse anche in Italia un nuovo fenomeno di costume d’importazione americana. Sempre più persone si ritrovarono a condividere uno stile di vita simile, caratterizzato da carrierismo spinto, consumi vistosi, belle case, auto di lusso, vacanze costose, abiti firmati, vita notturna.










martedì 7 febbraio 2023

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 44. Vivienne Westwood. 2 Parte

Per coloro interessate/i ad approfondire

 consiglio caldamente la visione del documentario realizzato nel 2019 dalla ex-modella 

Lorna Tucker 

Westwood. Punk, icon, activist

In Italia è edito da Feltrinelli nella collana Real Cinema, DVD + libro. 

Imperdibile è il libro SFILATE, delle Edizioni Ippocampo. 

Un volume che raccoglie tutte le sue collezioni commentate in modo dettagliato, 

con un'ampia introduzione che racconta la sua storia e il suo lavoro.

Infine consiglio la lettura della sua biografia scritta a quattro mani con il giornalista Ian Kelly 

Vivienne Westwood by Vivienne Westwood e Ian Kelly edizioni Odoya.




Per concludere una serie di immagini prese dalla collezioni più iconiche di Vivienne Westwood. 


Mini-crini, collezione 1985. Gonne in crinolina cortissime, 
una versione sovversiva degli abiti del XVII secolo.