domenica 18 novembre 2012

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 21. CHRISTIAN DIOR, Il NEW LOOK




Arrivò così il 12 Febbraio 1947, l’ultimo giorno delle sfilate parigine della primavera, e con lui il debutto della Maison Dior.
Il “bel mondo” c’era tutto e c’erano anche le giornaliste che contavano. Mancavano solo molti compratori americani che non avevano aspettato l’ultimo giorno delle sfilate ma si erano già imbarcati sul piroscafo per gli Stati Uniti. 
La prima uscita fu il modello Acacia, con il busto aderente, la vita stretta, i fianchi segnati e la gonna lunga fino a metà polpaccio, seguito da una serie di capi con la stessa linea chiamata a “8”, sagomata, seno sottolineato, vita stretta e fianchi accentuati. Poi comparvero i modelli con le gonne larghissime, la silhouette Corolle; danzante, molto sostenuta dalla sottoveste, busto modellato, vita sottile, era la vera novità della collezione.



Modello linea Corolle

In entrambi i casi comparivano le gonne nettamente allungate, le vite marcate, le baschine delle giacche spesso accorciate così da slanciare la silhouette, una moda dalle linee tipicamente femminili.
Dior si era ispirato al secondo Ottocento, reso ancor più aggraziato attraverso un richiamo di gusto al Settecento. L’idea era quella di modellare il corpo della donna enfatizzandone le curve, ricorrendo all’uso di un accessorio ormai da tempo dimenticato, il corsetto. Era proprio attorno a questo indumento che si costruiva il nuovo modello sartoriale. Al busto piccolo e arrotondato faceva contrasto una gonna ampia e lunga, spesso a pieghe sagomate, che si appoggiava sopra una sottogonna rigida. Dior offriva una nuova immagine femminile, recuperando il senso più tradizionale del termine, ma anche un’immagine di lusso, costruita attraverso la qualità dei materiali utilizzati, e di scomodità, di difficoltà di movimento, di abito fatto per apparire più che per agire. 
L’intento di Dior era certamente quello di cancellare la guerra, ripartire da capo proponendo l’esatto contrario di quello che si era dovuto indossare per necessità.

Le spettatrici furono letteralmente rapite dalla novità. I buyer non poterono fare altro che riprendere la nave da cui erano appena scesi, per tornare a Parigi e acquistare i modelli Dior per i magazzini statunitensi.  Anche le dive di Hollywood fornirono un aiuto eccezionale per enfatizzare l’evento. Rita Hayworth indossò il modello Soirée al gala dedicato a Gilda.


Modello Bar 



Completo composto da giacca shantung crema con baschina e collo revers e ampia gonna di tessuto di lana nero a piccole pieghe. Divenne il simbolo della collezione e del nuovo stile: fotografato e disegnato da tutti, pubblicato su tutte le riviste, richiesto da tutte le clienti, ancora oggi è uno degli indumenti più documentati della storia della moda e più presenti nelle collezioni dei musei.








La seconda collezione per l’autunno-inverno, presentata il 6 Agosto 1947, confermò la linea New Look accentuandone le caratteristiche.

La silhouette Corolle si sagoma e si svasa a tulipano. La sua espressione più spinta è l’abito Diorama

I bustini piatti e molto accollati aderiscono al seno ed esplodono in plissé, in rigonfiamenti che amplificano il petto. Ma il dato più rilevante erano la lunghezza e l’ampiezza delle gonne ottenute con incredibili metraggi di tessuto: il modello Diorama aveva una circonferenza all’orlo di quaranta metri. Un lusso scandaloso in un momento in cui molte cose, fra le quali i tessili, continuavano ad essere razionate, in cui l’industria non aveva ancora ripreso a produrre, in cui i disastri della guerra erano sotto gli occhi di tutti. Questo era però un problema che riguardava l’Europa. Gli Stati Uniti stavano vivendo un processo di modernizzazione. Il benessere riconquistato dopo la Grande Depressione si era esteso alla media e piccola borghesia creando un nuovo tipo di consumatore, che poteva comprare ma non aveva il gusto per scegliere, che aveva bisogno di essere guidato. E mentre l’Europa si americanizzava per effetto degli aiuti alleati e dei mezzi di comunicazione più moderni, l’America guardava all’Europa per apprendere la sua cultura, per rubare il suo passato. La capitale francese tornava ad essere un punto di riferimento per gli intellettuali e gli artisti d’oltreoceano. Dior intuì che per l’immaginario collettivo la moda era francese e che solo puntando sulla “francesità” la Couture poteva ritrovare l’antico primato. Il revival che egli propose s’ispirava ai momenti della maggiore felicità inventiva e della massima centralità del gusto parigino, il Secondo Impero e la Bellé Epoque, con un sottile richiamo al Settecento. Era quindi un’operazione culturale quella che veniva promossa: rimettere al centro dell’attenzione internazionale uno stile, una capacità di scelta estetica, un’eleganza di cui la Couture francese si sentiva depositaria.
E se nel Settecento questa eleganza aveva avuto il marchio dell’aristocrazia e nell’Ottocento quello della grande borghesia, ora dichiarava la sua disponibilità a mettersi al servizio della media borghesia, principalmente americana. 
L’America voleva una moda che comunicasse i suoi valori piccolo borghesi, la sua ricchezza, il suo senso della famiglia e della comunità, la sua diffidenza nei confronti di tutto quello che poteva avere un aspetto rivoluzionario o almeno, perturbante. E Dior le offrì l’immagine di una donna fragile, raffinata, priva di fremiti femministi. Una donna che prendeva sul serio la moda, capace di apprezzare la bellezza, che imparava a scegliere e ad avere gusto e non si occupava di cose che non la riguardavano, come la bomba, i problemi dei giovani, la politica. Una donna irreale che assomigliava al ricordo che Dior aveva di sua madre, una signora borghese perbene, ossessionata dalle formalità e dalle apparenze, che corrispondeva ai desideri dell’immaginario maschile. Dior scelse di rappresentare tutto questo, in maniera semplice e diretta. Elimitò dai suoi modelli ogni idea di avanguardia che aveva contraddistinto lo stile degli anni Trenta. Da questo momento l’Alta Moda decise di vivere in una sfera separata e autoreferenziale.


Gonna, cintura, cappello, scarpe, pennacchio e spilloni 
erano gli elementi imprescindibili della nuova moda e illustravano il Point de vue di Vogue francese di ottobre-novembre 1947, in una foto "natura morta" di Clifford Coffin.

" Il canone attuale della bellezza ci precisa la circonferenza esatta: cinquanta centimetri. Una cintura di cuoio sagomata la sottolinea molto strettamente. La gonna si chiude sotto di lei: non più la gonna corta, indiscreta, ma arrotondata, gonfiata, che sfiora le caviglie, imponendo tutta un'arte del gesto affinché nessuno ignori che questa caviglia è perfetta. "


Concludo questa terza parte sulla vita e il lavoro di Christian Dior, ricordandovi che il racconto è tratto dal libro, molto bello e che vi consiglio,  Storia della moda XVIII-XX secolo, autrice Enrica Morini, edito da Skira. Da qui ho tratto anche i testi su Poiret, Chanel e Elsa Schiaparelli.



venerdì 19 ottobre 2012

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 30. Come faccio senza il mio Trench coat?

Anche quest'anno è arrivato il tanto odioso momento del cambio dell'armadio.
Con il sopraggiungere delle prime giornate autunnali arriva inevitabile anche la giornata del riordino dei vestiti, con il suo avanti e indietro dall'armadio allo sgabuzzino, quel momento tanto triste  in cui dobbiamo a malincuore dire ciao ai vestiti estivi per fare spazio a quelli invernali, così troppo pelosi, scuri e ingombranti. 
Non so spiegarvi perché, ma di fronte a questo tedioso appuntamento, io vado ogni volta in crisi; inizialmente non c'è niente che mi piace delle vecchie cose che avevo impacchettato, per giorni e giorni non so mai cosa mettermi, esco ed ho troppo caldo o, peggio, troppo freddo, mi ritrovo sull'uscio avvolta in abbinamenti imbarazzanti, per non dire orribili, mi innervosisco, mi sento una incapace di crescere e sogno una giornata di shopping a budget illimitato, dopo la quale tornei a casa e mi sbarazzerei finalmente di tutti questi vecchi stracci.
Mi sfogo, fantastico e poi mi chiedo se, dopo averlo rimpiazzato, rimpiangerei il vecchio maglione con i buchi che uso ormai da chissà quanti anni, probabilmente si.
Quest'anno sistemando la questione giacche mi son detta " Cri basta, ora quel trench da "Ispettore Gadget" non lo tiri più giù, per quest'anno lo lasci riposare nell'angolo e ti metti qualcos'altro. Ecco, ad esempio, questa bella giacchetta in lana blu, che praticamente non hai usato mai, con una cintura in vita ti starà benissimo!!" 
E' passata una settimana e il mio trench mi manca da impazzire.... come faccio senza il mio trench, compagno inseparabile di mille mezze stagioni. 
E così ho deciso che a dispetto dei buoni propositi nei confronti dell'innocente giacchetta blu, io non solo lo prendo e lo metto, ma gli dedico anche un bel post. Perchè di cose da dire appropostito di un Trench coat ce ne sono davvero tante. Un trench non è mica una giacca qualsiasi, il mio poi è un trench vintage che mi calza a pennello, che mi segue da anni e che mi piace da impazzire !!!!!!!



La storia del Trench o cappotto da trincea, è lunga e molto interessante.
Nacque nel 1901 quando il Ministero della Guerra Inglese ordinò un modello, a metà strada tra l'impermeabile d'ordinanza e il cappotto militare, alla ditta Burberry.
Thomas Burberry cercò um materiale che permetteva di creare un indumento confortevole e che riparasse da pioggia, vento e freddo. I suoi studi lo portarono alla nascita della Gabardine, un tessuto composto da fili così stretti in grado di proteggere molto dall'umidità, che poi lui rivestì con una formula segreta che lo rese impermeabile e il successo fu immediato, gli ordini affluirono, a iniziare proprio dall'esercito inglese. Di ritorno dal fronte, i soldati continuarono a portare il trench, che divenne così un indumento della vita civile.


Il trench è un cappotto impermeabile, generalmente lungo fino ai polpacci, precisamente qualche centimetro sotto il ginocchio, da non confondere con lo spolverino che è invece un soprabito lungo fino alle caviglie, leggero, con maniche abbondanti e collo pronunciato, alto, abbottonato, adatto a riparare dal vento e dalla pioggia. Il trench ha attraversato anni e mode, conservando la sua forma iniziale: ha il taglio a doppiopetto, le spalline, la fodera tartan, la baschina, che è la piccola mantella corta sulle spalle che aiuta a ripararle maggiormente dal freddo, la falda triangolare di stoffa sul davanti che, sovrapponendosi all'allacciatura, permette una chiusura migliore, maniche restringibili intorno ai polsi per mezzo di cinturini con fibbie, cintura e lungo spacco posteriore chiudibile con un bottone. Il colore classico è il kaki.
Il trench è un evergreen che ha saputo attraversare le epoche senza mai passare di moda. Utilizzato moltissimo anche dalle donne, è uno dei primi capi presi in prestito dal guardaroba maschile.
Fu proprio Greta  Garbo a lanciare la moda del trench foderato di lana con disegno scozzese, che la diva indossò nel 1928 sul set di Destino. Da allora divenne un vero must per ogni donna con stile.
Il vero boom sul grande schermo lo si ebbe negli anni '40, con l'affermarsi del genere noir o poliziesco. Le più grandi star del cinema lo resero immortale in film considerati vere e proprie pietre miliari, pensiamo a Humphrey Bogart in Casablanca al fianco di Ingrid Bergman, è proprio così che divenne indissolubilmente legato all'immagine dell'investigatore privato. Bogart girò poi un altro capolavoro del genere giallo "Il grande sonno" ( io ho adorato il romanzo) nel panni del celebre detective Philip Marlowe che vestiva appunto l'impermeabile inglese.
Negli anni '60 Marilyn Monroe elevò il trench ad indumento estremamente sensuale, indossandolo allacciato in vita, durante le riprese di Facciamo l'amore di George Cukor e  poi, indimenticabile, arrivò Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany.
Nel 1963 Peter Sellers indossò il trench nei panni del mitico ispettore Clouseau in La pantera Rosa, mentre Brigitte Bardot la vedemmo sulle rive del Tamigi nei panni di una spia doppiogiochista con indosso un trench bianco, nel film Un adorabile idiota. E vorrei concludere con la splendida Anna Karina, simbolo della Nouvelle Vague, diretta da Godard in Una storia americana, anche lei con indosso il classico trench color kaki.





Detto questo, evviva il mio trench, oggi è una splendida giornata di sole, lo prendo dallo sgabuzzino, lo indosso ed esco felice.


lunedì 15 ottobre 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 48. I PUNTI A MANO: I PUNTI PER LA CONFEZIONE


Oggi vediamo come si realizza e a cosa serve un tipo di punto molto importante per la confezione, Il PUNTO INDIETRO.  E’ questo tra i più robusti e i più usati, serve ad affrancare le cuciture a mano e riparare cuciture, per ribattere a mano, impunturare e attaccare cerniere. Benché esistano numerose variazioni, il punto indietro si fa sempre infilando l’ago dietro il punto da cui emerge il filo del punto precedente.
L’inizio ed una fine di una cucitura possono essere affrancati con il punto indietro. Per farlo si usano punti corti nei casi di cuciture permanenti e lunghi nel caso di cuciture provvisorie. Un sistema ancora più sicuro è quello che combina un punto indietro con un piccolo cappio.
Il punto indietro regolare è il più robusto. I punti sono molto simili a quelli della macchina da cucire, cioè sono uguali in lunghezza con piccolissimi spazi tra loro. Questo punto serve per eseguire e riparare cuciture.
Poi c’è il mezzo punto indietro che è simile al regolare, con la sola differenza che la lunghezza dei punti e degli spazi tra loro è uguale. Non è però così robusto come il precedente. Si usa per riparare le cuciture.
Il punto indietro a punti piccolissimi è invece molto decorativo. Visto dal davanti del lavoro, presenta punti piccolissimi distanziati da spazi molto lunghi. E’ una cucitura molto usata nella applicazione di cerniere.
Infine c’è il punto indietro decorativo che si realizza come i precedenti ma prendendo solo lo strato di tessuto superiore. E’ ideale quando deve risultare visibile solamente sul dritto del lavoro, come ribattitura o impuntura decorativa.


1. Come inizio o fine di una cucitura a mano, portare l'ago e filo sul rovescio del tessuto. Infilare l'ago all'indietro attraverso tutti gli strati di tessuto e uscire appena dietro il punto in cui emerge il filo. Tirare il filo. 
2. Per un'affrancatura più sicura, formare un punto indietro molto piccolo, proprio dietro il punto da cui emerge il filo, lasciando un piccolo cappio che si otterrà non tirando completamente il filo. Formare quindi un altro piccolo punto indietro sopra il precedente e far passare l'ago e il filo nel cappio. Tirare entrambi i punti in modo deciso e tagliare il filo.
3. Per il punto indietro regolare, portare ago e filo sul dritto del lavoro. Infilare l'ago ad una distanza variabile da 1,5 mm a 3 mm (metà della lunghezza di un punto), dietro il punto da cui emerge il filo, e uscire alla stessa distanza davanti a tale punto. Continuare mantenendo le stesse distanze. Sul dritto, i punti saranno simili a quelli eseguiti dalla macchina da cucire.


1. Il mezzo punto indietro è simile al punto regolare indietro ma, invece di avere punti che si toccano, è fatto di punti uguali distanziati da spazi uguali ai punti stessi. L'ago va infilato a circa 1,5 mm dietro il punto da cui emerge il filo e va fatto uscire ad una distanza doppia (circa 3 mm) davanti al medesimo punto.
2. Il punto indietro a punti piccolissimi è simile al punto precedente ma l'ago è infilato praticamente accanto al punto da cui emerge il filo, pochissime fibre dietro, e fatto uscire ad una distanza variabile tra i 3 e i 6 mm davanti a esso. Sul davanti del lavoro i punti appaiono piccolissimi.
3. Il punto indietro decorativo è un qualunque punto indietro ma eseguito senza prendere lo strato sottostante della stoffa. Se il secondo strato di stoffa non viene cucito, il rovescio della cucitura rimane invisibile. 

giovedì 27 settembre 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 48.I PUNTI A MANO: IMBASTITURA


L’imbastitura a mano è una cucitura temporanea usata per unire due o più parti di tessuto durante le prove e la confezione.


L’Imbastitura regolare è usata con tessuti leggeri e in punti che richiedono un controllo più attento, come cuciture arrotondate, morbide,  e nel montaggio delle maniche. I punti sono corti circa 6 mm, presi alla stessa distanza. Si esegue da destra verso sinistra, raccogliendo sull’ago più punti prima di estrarlo dal tessuto.


L’Imbastitura irregolare è quella più usata. I punti sono simili a quelli della imbastitura regolare, con la differenza che i punti corti, circa 6 mm, si alternano a spazi lunghi anche 2,5 cm.


L’Imbastitura diagonale è fatta di punti orizzontali presi paralleli, in modo da formare diagonali. Si usa per fermare o tenere sotto controllo più strati di tessuto entro uno spazio più o meno largo, durante le fasi di confezione e di stiratura. Punti corti, circa 1 cm, molto vicini tra loro garantiscono un migliore controllo rispetto a quelli fatti più lunghi, circa 2 cm, e presi a gran distanza. Generalmente si usa un’imbastitura diagonale corta per tenere distesi gli strati di tessuto durante l’operazione di cucitura, mentre l’imbastitura a diagonali più lunghe si usa per fissare la teletta all’indumento durante la confezione. Si esegue infilando l’ago da destra a sinistra.


L’Imbastitura a sottopunto è un punto irregolare, provvisorio, usato per far combaciare, prima della cucitura, parti di tessuto a quadri o a righe o stampati a grandi disegni. E’ inoltre un modo pratico di imbastire parti ricurve piuttosto complicate da cucire o di eseguire le modifiche sul diritto durante le prove. Si esegue voltando in sotto il lembo lungo la linea di cucitura. Con il dritto del tessuto rivolto verso di sé, appoggiarlo lungo la linea di cucitura sulla parte di tessuto dove sarà cucito, facendo combaciare il disegno e appuntarlo. Da destra a sinistra, con punti lunghi circa 6 mm, fare un punto nel lembo inferiore e un secondo nel lembo superiore. Continuare alternando i punti e togliendo man mano gli spilli.

lunedì 10 settembre 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 48.I PUNTI A MANO: I PUNTI MOLLI


Anche se si cuce a macchina, i punti a mano vengono usati in quasi tutte le fasi della confezione, dal trasferimento dei segni fino all’esecuzione dell’orlo. Alcuni si usano soltanto temporaneamente, per tenere insieme i pezzi di stoffa prima di cucirli a macchina. Altri sono punti duraturi, usati per fissare le paramonture, le fodere e gli orli o per rifinire o decorare un capo.
Oggi vediamo come si fanno i punti molli, quelli che si usano per riportare particolari della confezione e segni vari dal modello di carta al tessuto tagliato. Sono usati come alternativa al gessetto o alla carta da ricalco, richiedono indubbiamente più tempo, tuttavia in alcuni casi sono necessari perchè si ottiene maggiore precisione.


I punti molli semplici sono particolarmente indicati nella marcatura delle pieghe o linee del centro e si usano su strati singoli di tessuto. Si fanno con gugliata lunga di filo doppio, non annodato, eseguendo punti piccoli lungo le linee del modello di carta, prendendo sia la carta che il tessuto. Non bisogna estrarre il filo mai completamente, ma lasciarne circa 2,5 cm in eccesso. Eseguire ogni punto a distanza dall’altro di circa 5/6 cm lasciando sempre del filo libero. Al termine della cucitura, tagliare ogni punto allentato nel centro. Per fare questo bisogna separare lo strato di tessuto dalla carta, tendere i cappi e tagliare nel mezzo dei fili infilando dolcemente la forbice. Fare attenzione a sollevare con cura il modello del tessuto, cercando di non sfilare i punti.

I punti molli si usano per trasferire i simboli isolati. Con la punta dell’ago si buca il modello attraverso il simbolo che dev’essere trasferito. Con una lunga gugliata di filo doppio, non annodato in fondo, e fare un piccolo punto attraverso il cartamodello e il tessuto doppio, lasciando circa 2 cm di filo, Fare un altro punto sopra lo stesso segno, lasciando ancora circa 2 cm di filo libero. Quando tutti i simboli sono stati marcati in questo modo, sollevare con cura il cartamodello dal tessuto, evitando di sfilare le marche, poi separare dolcemente i due strati di tessuto fino a tendere i cappi e tagliare i fili nel mezzo.

giovedì 6 settembre 2012

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 20. CHRISTIAN DIOR seconda parte


Il primo contatto fra Dior e il più importante cotoniero di Francia non  fu di certo casuale.
Boussac aveva valutato che il momento era propizio per investire nella Haute Couture e i guadagni fatti con il cotone e con la produzione tessile a basto costo gli davano la possibilità di tentare l’impresa di rilanciare la grande sartoria francese. Il suo progetto era quello di creare una maison innovativa nel gusto e nell’aspetto, capace di produrre uno stile diverso, ma in cui lavorare secondo le più raffinate tradizioni dell’artigianato di qualità. Egli riteneva che i mercati stranieri, dopo la lunga stagnazione della moda dovuta alla guerra, reclamano modelli realmente nuovi. Tutto quello che una maison doveva rappresentare era il gusto, la ricercatezza, la perfezione artigianale, il lusso, l’esclusività e l’eleganza. Ma non era più necessario che tutto ciò venisse prodotto da un piccolo atelier capace di rispondere solo a pochi clienti dai gusti raffinati. Una maison di Haute Couture poteva essere il centro propulsore di un modello di raffinatezza da estendere a una società più allargata di quella che aveva frequentato Parigi nei decenni precedenti.
Su queste basi fu così organizzato lìincontro tra Boussac e Dior e il contratto che venne stilato significava la creazione di una nuova griffe: Boussac impegnò nell’impresa sei milioni di franchi e un credito illimitato, da parte sua Dior ebbe uno stipendio, un terzo dei guadagni e, per statuto, l’incarico di direttore della SARL Christian Dior.
Stipulato l’accordo iniziale, l’impostazione dell’impresa passò nelle mani del couturier che cominciò a dare forma al suo progetto, innanzitutto costituendo la squadra con cui lavorare e poi scegliendo la sede adatta per la maison; due scelte delicate e fondamentali, perchè da esse dipendeva la riuscita dell’iniziativa: la prima, perchè era solo sulla professionalità dei collaboratori che poteva fondarsi il suo successo, la seconda, perchè l’edificio scelto e il modo di arredarlo potevano costituire un veicolo attraverso cui comunicare il gusto della moda Dior.
La notizia dell’investimento economico straordinario aveva fatto il giro delle redazioni di tutte le riviste, creando un clima di grande attenzione.
Il più importante quotidiano di moda degli Stati Uniti “Women’s Wear Daily” il 17 novembre 1946 annunciò un’indiscrezione: la prossima apertura della Maison Dior.
Per quanto riguardava la sede, si cominciò a cercare una collocazione che fosse all’interno del perimetro del commercio di lusso, ma anche vicina a un albergo adatto alla clientela cui si stava pensando. Identificata la collocazione, si iniziò ad occuparsi della ristrutturazione degli interni che riprese lo stile Luigi XVI-1900 che ra tanto piaciuto alla borghesia di inizio secolo e che aveva fatto da cornice all’infanzia di Christian Dior nell’appartamento di Parigi: boiseries bianche, mobili laccati, tinte grigie. I lavori iniziarono il 16 dicembre 1946, mentre si preparava già la collezione che doveva sfilare in febbraio, durante la settimana di presentazione della moda della primavera. Metri di tela di cotone bianca assicuravano il segreto dei modelli e proteggevano i tavoli e gli scampoli ammonticchiati da una polvere perennemente in sospensione. Mentre si lavorava alla collezione, procedeva febbrilmente l’attività di promozione in cui vennero coinvolte, a vario titolo, amiche e conoscenti di Dior, che utilizzarono le loro conoscenze, per contattare nel mondo intellettuale e nell’alta società della capitale, quelle che avrebbero potuto essere le future clienti ideali della Maison. Tutta la Parigi ‘che contava’ parlava del nuovo astro nescente e gli amici che Dior aveva accumulato nel corso degli anni nei diversi ambienti che aveva frequentato facevano da cassa di risonanza. Anche le giornaliste delle grandi testate, come Vogue e Harper’s Bazar, contribuirono a creare il clima di attesa.
Ma la straordinarietà dell’impresa che stava per decollare e la possibilità di legarsi ai suoi destini aveva colpito soprattutto la fantasia degli imprenditori, molti dei quali offrirono a Dior il loro contributo. Il primo fu un amico d’infanzia, Serge Heftler Louiche, che propose di costituire insieme una socità per i profumi con il nome della nuova griffe; era ormai un dato assodato che il legame commerciale fra le due ppproduzioni aveva sempre dato risultati positivi. L’idea fu sottoposta a Boussac che diede il proprio assenso, e si cominciò subito a lavorare anche intorno a questa realizzazione. Dior decise di chiamare il nuovo profumo “Miss Dior” e Vacher realizzò l’essenza, che fu presentata al pubblico insieme alla prima collezione. L’anno dopo venne formalizzata la SARL dei profumi Christian Dior. Fu poi la volta di un industriale americano che, dopo aver letto la notizia pubblicata su “Women’s Wear Daily” propose a DIor di utilizzare nelle collezioni le sue calze Prestige in cambio di cinquemila dollari e di pubblicità nei magazzini di moda statunitensi. Si presentò anche un produttore di seta cinese che vendeva shantung: un arrivo quanto mai prezioso in una situazione in cui l’industria tessile francese era ancora sotto gli effetti della guerra. Fu proprio con questo meteriale che venne realizzata la giacca Bar, che divenne il simbolo della collezione.


** Il testo delle lezioni su Dior sono tratti dal libro: Storia della moda XVIII-XX secolo, scritto da Enrica Morini, edizioni Skira. 

venerdì 24 agosto 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 47. LE CUCITURE A MANO

Ciao a tutte. Siete già tornate dalle vacanze? 
Da oggi inizierò a parlarvi delle cuciture a mano. Vedremo tantissimi punti diversi, fondamentali per fare molte cose, come una imbastitura o un orlo. 
Sarà un argomento lungo che ci terrà impegnate per una decina di lezioni. 

Forza, prendete ago e filo!!!

Con questo post vorrei introdurvi al nostro nuovo argomento, dandovi alcuni consigli validi per tutte le cuciture a mano.

La gugliata: Il filo si taglia sempre con le forbici, che devono essere bene affilate. Non strappate né mordete il filo, perchè in questo modo si sfilaccia ed è anche più difficile infilarlo nella cruna dell’ago. La gugliata deve essere corta. Per una cucitura definitiva, usate una lunghezza variabile, tra i 45 e i 60 cm; se dovete imbastire può essere anche più lunga. ( per lunghezza della gugliata si intende la distanza tra la cruna dell’ago e il nodo in fondo al filo ). La gugliata doppia si usa solo per attaccare i bottoni, gli automatici, i ganci o per fare gli occhielli.
Scelta dell’ago: L’ago dev’essere adatto al filo e al tessuto che si sta usando e anche comodo per chi deve cucire. L’ago sottile è il migliore: corto per i punti corti e lungo per i punti lunghi o multipli.
Tipo e colore del filo: Se dovete imbastire, usate un filo bianco o comunque di colore chiaro che contrasti con il tessuto ( quindi filo scuro se di lavora con tessuto chiaro ). Per fare delle cuciture definitive, il filo è meglio che sia il più uguale possibile al colore del tessuto. Il filo di seta è particolarmente indicato per le imbastiture perchè, dopo averlo rimosso, basta una stiratura e scompare perfettamente ogni segno. Si usano anche fili di cotone, sintetici o misti. La seta ritorta è indicata per fare gli occhielli, per attaccare i bottoni o per i punti decorativi.
Può capitare mentre cuciamo a mano, che il filo si attorciglia e si formano dei nodi. Questo è un fastidioso inconveniente e purtroppo succede con qualsiasi tipo di filo, ma in particolare con quelli costituiti interamente, ma anche solo in parte, con fibre sintetiche. Per ridurre l’inconveniente, usate gugliate corte e non tirate mai troppo il filo.
Il nodo all’inizio della cucitura: La maggior parte delle cuciture a mano, richiede che il filo abbia un nodo all’estremità della gugliata. Nell’imbastitura il nodo può anche essere visibile, mentre nelle cuciture definitive, dovrà rimenere nascosto.
Il punto indietro: E’ usato per affrancare il lavoro all’inizio e alla fine della cucitura. Questo sistema è preferibile al nodo, specialmente nei capi di vestiario dove il nodo può lasciare un segno.
Naturalmente più il punto è corto e più è sicuro!!
In generale vi consiglio quindi di usare punti piccoli quando dovete fare una cucitura permanente e punti più lunghi per una imbastitura.


mercoledì 27 giugno 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 46. I METODI DI MARCATURA


La marcatura, cioè il riportare sul tessuto tutti i segni fondamentali per la realizzazione del modello, si fa dopo il taglio e prima di togliere il cartamodello. I segni da riportare sul tessuto sono tutti quelli che indicano come e dove le parti del capo sono sagomate e unite e dove sono posti i particolari. Si riportano: le linee delle pince, delle pieghe o pieghine, delle increspature, i simboli rotondi e quadrati, il centro davanti e dietro, la posizione degli occhielli, delle tasche e di altri particolari. E’ anche utile riportare interamente le linee di cucitura, quando queste hanno una forma complicata, non lineare. Se il vestito verrà controfoderato, si deve marcare solo la controfodera.

In questo post vi mostro i metodi più comuni per riportare i segni. Per ogni lavoro che farete potrete decidere quale metodo sarà più adatto.

LA CARTA DA RICALCO O LA ROTELLA
Questo metodo è il più adatto per i tessuti a tinta unita, dà risultati meno buoni su tessuti a più colori ed è sconsigliabile per quelli trasparenti, perchè si vedrebbero i segni dal dritto. E’ sicuramente il metodo più comodo e veloce, ma bisogna fare attenzione a come si usa la rotella, perchè calcando troppo si può rompere il cartamodello di velina, dovendolo poi rifare per l’utilizzo seguente. Mentre si segna, meglio tenere un cartone sotto il tessuto, onde evitare di rovinare la superficie sottostante. Usare una rotella dentata per la maggior parte delle stoffe, una rotella liscia per quelle più delicate o pelose. Se il tessuto è piegato rovescio contro rovescio, si possono segnare contemporaneamente ambedue gli strati, inserendo due fogli da ricalco posti l’uno contro l’altro. Se i tessuti sono piegati dritto contro dritto, bisogna marcare uno strato alla volta.

IL GESSO DA SARTI

Anche con il gesso la marcatura è veloce. Il gesso sparisce facilmente, per questo bisogna cucire il capo al più presto dopo la marcatura.

I PUNTI MOLLI


Questo metodo è quello che fra tutti richiede più tempo e fatica. Sono però indispensabili quando si lavora con tessuti trasparenti, delicati, spugnosi o a più colori sui quali nè la carta da ricalco nè il gesso lascerebbero segni chiari. Se un capo richiede parecchi segni, sarà d’aiuto l’uso dei fili di colore diverso per ogni simbolo del modello, ad esempio un colore per le pince, un’altro per le linee di cucitura e così via.

LA MARCATURA CON IL FILO

Quest’ultimo è un metodo pratico per riportare i riferimenti che si devono vadere sul diritto, come la posizione di una tasca. Si riportano inizialmente con la carta da ricalco o il gesso sul rovescio del tessuto e poi si tracciano con una imbastitura a mano o a macchina. 





martedì 19 giugno 2012

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 34.Christian DIOR ...libri

Nel mio ultimo post sulla Storia della Moda ho iniziato a parlarvi di Christian Dior ed ho pensato di segnalarvi subito questo libro, anzi cofanetto da collezione, uscito da non molto, edito da Assouline. Si tratta di tre volumi retrospettivi tematici, ricchi di bellissime immagini, pubblicati in inglese, francese e cinese. Il lavoro di Dior è stato qui diviso in tre argomenti, vestiti, gioielli e profumi e presentato attraverso molto materiale interessante: ci sono le copertine delle riviste, le illustrazioni pubblicitarie, le foto dello stilista al lavoro nel suo atelier  e le bellissime attrici e modelle che hanno indossato i suoi vestiti. Attraverso immagini patinate e inedite viene ripercorsa una storia lunga sessant'anni, un viaggio attraverso la vita di uno dei couturier più importanti di sempre.


Dior Fashion-Fine Jewelry-Perfume.Caroline Bongrand e Jérôme Hanover. 
Edizioni Assouline. 240 pagine € 60.00 





Storia della moda nel XX secolo. Lezione 19. CHRISTIAN DIOR prima parte


Christian Dior nacque  nel 905 in una famiglia borgese: il padre si occupava della fabbrica di concimi di famiglia mentre la madre era figlia di un avvocato. Da bambino visse a Granville, in Normandia, e nel 1911 si trasferirono a Parigi dove Christian iniziò la scuola.  Agli inizi degli anni Venti, Dior era il tipico studente di buona famiglia affascinato da una Parigi prodica di novità. Insieme ad un gruppo di giovani amici passava le serate nei bar frequentati da tutti i personaggi che costruirono l’avanguardia di quegli anni, oppure andava nelle gallerie d’arte dove esponevano gli artisti più innovativi. C’erano  poi i balletti, il teatro, il circo, la musica e il cinema. Dior avrebbe voluto frequentare l’Accademia di Belle Arti, ma l’adorata madre aveva nei confronti del mondo dell’arte una profonda diffidenza piccolo borghese, riteneva l’artista non un lavoro ma una scappatoia e così avviò il figlio alla carriera diplomatica iscrivendolo alla facoltà di Scenze Politiche. Accettando le imposizioni della madre ottenne però il permesso di poter approfondire gli studi di musica e in questo modo nacque l’amicizia con il musicista d’avanguardia Henri Sauguet e conobbe così i compagni che sarebbero stati al suo fianco sempre, gli stessi che l’avrebbero accompagnato lungo tutta la sua carriera, con i quali condivise anche molte imprese.
Fu così che fra il 1928 e il 1929 Christian diventò socio di Jean Bonjean nell’apertura di una galleria d’arte. Purtroppo la fortuna non durò molto. Nel 1930 suo fratello minore dovette essere internato in un ospedale psichiatrico e la madre non riuscì a superare il dolore e morì. La crisi poi travolse gli affari del padre e il fallimento fu inevitabile. Furono anni di miseria, di soffitte e per fortuna di solidarietà da parte degli amici. Nel 1934 si aggiunse la tubercolosi e Christian dovette partire per andare a curarsi al sole del Mediterraneo. Al suo rientro a Parigi la situazione famigliare era molto grave  ed era necessario che anche lui si mettesse a lavorare seriamente per dare una mano al padre ed alla sorella. L’unico settore che ancora resisteva alla crisi era proprio quello della moda e fu lì che si indirizzò. Per un caso fortunato riuscì a vendere uno dei quadri rimasti dalla chiusura della galleria e con il guadagno sistemò i problemi più gravi della sua famiglia e si concesse un periodo di studio, durante il quale imparò a disegnare I figurini. Il suo maestro fu Jean Ozenne, un modellista di successo che lavorava per molte maison de Couture. Ben presto riuscì a vendere i suoi primi disegni, prima alle modisterie poi alle maison, anche le più famose, fino a che Paul Caldagues gli offrì di collaborare regolarmente alla pagina di moda di “Le Figaro”. Nelle sue memorie Dior scrisse: “ A trent’anni stavo per iniziare la mia vera esistenza.”
Su suggerimento di Robert Piguet, che aveva molto apprezzato il suo lavoro, provò a proporre idee originali ed a inventare un suo stile che ben presto iniziò ad incontrare un certo successo e nel 1938 lo stesso Piguet gli propose di entrare nel suo Atelier come modellista e mise in collezione un suo abito. Fu così che venne ufficialmente accolto dal mondo della moda.

Nel Settembre del 1939 scoppiò però la guerra e Dior fu mobilitato nella riserva e occupato a sostituire nel Berry gli agricoltori impegnati al fronte. Al momento dell’armistizio, nel giugno del 1940, la Francia risultò divisa in due ed egli si trovò nella zona non occupata dai tedeschi. Decise di ritirarsi in campagna a casa della sorella. La moda riuscì a riorganizzarsi presto e lui fu contattato da Alice Chavanne, che da Cannes curava le Pages feminines du Figaro,  e gli propose di continuare ad illustrare i suoi articoli come faceva prima del conflitto. Molte case di moda avevavo trasferito le loro attvità sulla Costa Azzurra, lo stesso cinema francese utilizzava gli studi di Nizza, e questo significava per Dior, andando periodicamente a Cannes per lavoro, la possibilità di ritrovare i suoi amici e la vita di un tempo. Per la moda ricominciare a lavorare non fu certo facile,mancavano le materie prime, tutto era razionato e in particolare i tessuti. Le produzioni ripresero ma in quantità molto ridotta rispetto a prima. Un altro grosso problema era la proibizione di fotografare i modelli e di conseguenza la loro pubblicizazione, questo perchè le riviste uscivano con difficoltà in quanto erano impossibilitate a reperire la carta necessaria.

Nel giugno 1941 Dior fu invitato da Piguet a riprendere il suo posto di lavoro, ma le notizie che arrivavano dalla capitale parlavano di difficoltà di ogni genere e lo preoccupavano. Quando in autunno, dopo molte esitazioni, decise di accettare l’offerta,  il suo posto era già stato preso da Antonio del Castillo. La moda però stava riprendendo il suo ritmo e gli venne subito proposto un altro impiego, un ruolo di modista nella maison di Lucien Lelong, a fianco di Pierre Balmain. La clientela non mancava ma era totalmente cambiata rispetto al passato. Scomparse le straniere, solo parzialmente sostituite dale tedesche, erano rimaste solo le francesi, la maggior parte delle quail mogli di commercianti del mercato nero che stavano costruendo enormi e scandalose fortune. Certo il vero problema continuava ad essere la mancanza di materiali, che portò alla sperimentazione di nuovi tessuti, spesso con risultati disastrosi, e alla riduzione dei consumi: le gonne si accorciarono, gli abiti diventarono più piccoli, revers e decorazioni sscomparvero. L’unico elemento che sembrava lanciare una sfida alla miseria e alla infelicità era il cappello, che divenne gonfio e fantasioso. Mentre  i nazisti cercavano di mettere in ginocchio la moda parigina con il razionamento dei materiali, il governo chiedeva alle donne di fare ritorno alle solide radici della famiglia, madri e guardiane del focolare, non potevano distrarsi dai loro sacri doveri con la frivolezza della moda. Oltre a questa triste vita reale, esisteva però anche il cinema e Dior iniziò ad occuparsi dei costumi di scena per film in costume, e si specializzò in modelli romantici e Belle Epoque. Nel 1944 la guerra non era ancora finita e continuavano ancora a mancare cibo, conbustibile e tutto quello che serviva ad una vita normale. Quell’inverno fu anche particolarmente freddo. Nel marzo 1945 De Gaulle tracciò un quadro della situazione francese a sei mesi dalla liberazione e disse che la disoccupazione completa riguardava circa 400.000 lavoratori e la parziale più di 1 milione. Fra tutti questi disoccupati c’erano anche quelli della moda.

sabato 16 giugno 2012

Lezioni di cucito dal libro della nonna 45. TAGLIARE TESSUTI SPECIALI. seconda parte


SCOZZESI REGOLARI E IRREGOLARI

Ma cos’è per definizione un tessuto scozzese?
Uno scozzese, Tartan, è un disegno a strisce colorate, tessute o stampate, che si incrociano ad angolo retto. Esitono scozzesi regolari e irregolari e questo è importante valutarlo prima di acquistare la stoffa perché influisce sulla scelta del modello e sulla metratura necessaria. Una zona delimitata da quattro lati, nella quale le strisce colorate formano un disegno completo, è chiamata motivo. Per capire se uno scozzese è regolare o irregolare bisogna piegare a metà un motivo, prima su un lato e poi sull’altro. Esso è regolare quando le strisce e gli spazi sono identici in ogni direzione.
Con gli scozzesi regolari si lavorano bene i capi con apertura o cuciture centrali e anche quelli tagliati in sbieco. Lo scozzese irregolare richiede più attenzione quando si dispone il cartamodello. Se è irregolare sull’altezza i pezzi vanno disposti tutti rivolti nella stessa direzione; quando è irregolare nella lunghezza, il motivo ricorrente non ha un centro, perciò si può disporre da sinistra a destra e viceversa, ma sempre nella stessa direzione. Evitare i modelli con cuciture centrali o maniche kimono o raglan. Quando lo scozzese è irregolare in ambedue le direzioni valgono le stesse considerazioni fatte per gli scozzesi irregolari in lunghezza.






TESSUTI DIAGONALI

Nei tessuti a trama diagonale come il Twill o il Gabardine, le coste sono appena visibili, in altri sono invece ben delineate. I primi si lavorano come fossero tessuti qualsiasi, con i secondi, e includiamo anche i tessuti diagonali stampati, dobbiamo scegliere accuratamente il modello adatto. Bisogna sicuramente evitare i capi con cuciture centrali, lunghe pince diagonali, gonne svasate a teli e scollature a punta.
I tessuti diagonali si tagliano su uno strato singolo di tessuto, ciascun pezzo del modello si appunta una volta con le scritte verso l’alto e l’altra con le scritte verso il tessuto. Fa eccezione il tessuto a due diritti, in questo caso tutte le parti del capo si possono tagliare appoggiando i modelli rivolti sempre verso l’alto e poi si capovolge la metà tessuto tagliato. 





TESSUTI STAMPATI INSOLITI

Un tessuto con un motivo grande richiede un’accurata disposizione dei modelli. Un motivo preciso, come una losanga, deve essere centrato e accoppiato, come si fa per lo scozzese. Un motivo irregolare, come nei tessuti indiani, non deve necessariamente essere accoppiato ma bilanciato. Qualunque sia il disegno si devono ridurre al minimo le cuciture e i particolari complicati. Se il vestito ha cuciture centrali, i motivi possono essere messi l’uno di fronte all’altro a uguale distanza dal centro. Come regola però si cerca di ottenere un equilibrio asimmetrico che è molto più piacevole. (vedi figura) In ogni caso non sistemare i motivi mai sul seno ne sui fianchi !! Bisogna anche fare attenzione a mettere i pezzi del modello sempre nella stessa direzione perché i disegni grandi hanno solitamente un verso.
*Ci sono anche le stoffe con il bordo stampato, cioè un disegno che corre lungo uno dei due bordi della lunghezza. Questo viene usato più comunemente come bordo sull’orlo del vestito, ma in certi capi può essere bello farlo correre in direzione verticale in ambedue i lati del centro dietro.




lunedì 14 maggio 2012

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 18. I COSMETICI DURANTE LA GUERRA


Nel 1942 la produzione di cosmetici negli Stati Uniti fu interrotta per due mesi e scoppiò un vero caos, tantè che vennero  immediatamente considerati beni di prima necessità. Si diceva che il cosmetico era per la donna ciò che il tabacco era per l'uomo e si riteneva che una nazione potesse essere vittoriosa solo se le sue donne non si lasciassero andare, ma anzi, curate e di bell'aspetto, prestassero servizio militare o aspettassero i loro soldati di ritorno in licenza. La qualità degli accessori per il trucco era però cattiva, mancavano alcune fondamentali materie prime come la glicerina e il grasso per ammorbidire i prodotti. Non si riusciva a stendere omogeneamente né la cipria né il rossetto, e il risultato erano pesanti strati di colore sgretolante. In Europa certi articoli non c'erano proprio del tutto. Nonostante il governo sostenesse l'industria cosmetica, la produzione bellica aveva comunque la precedenza. Ma il bisogno si sa, aguzza la fantasia! Le donne inglesi ad esempio usavano il lucido per stivali come rimmel e la crema da scarpe come colore per le sopracciglia. In America Elizabeth Arden introdusse la Busy Woman's Beaty Box, un kit che conteneva tutto ciò di cui aveva bisogno una donna lavoratrice. Nonostante la guerra, i guadagni dell'industria cosmetica aumentarono costantemente, infatti molte donne che per la prima volta guadagnavano denaro in prima persona, erano ben contente di investirlo generosamente nel proprio aspetto.  Era buon costume fare incetta di prodotti cosmetici per essere pronte al ritorno degli uomini dal fronte. Di questo desiderio parlavano anche i profumi più di successo di quei tempi. Si chiamavano Attente (attesa) o En attendant (nell'attesa) e Malgré tout (malgrado tutto). Lo stile in questi anni doveva essere maturo e sensuale, per niente frivolo o provocante.  La forma delle sopracciglia era elegantemente arcuata e veniva accuratamente ritoccata. Cosa molto importante era il rossetto, la bocca veniva disegnata piena, con le labbra a cuore. Ma ancora più importante di rossetto e cipria, era il colore per le gambe. Non c'erano le calze lunghe e le gambe del tutto nude non stavano bene con le gonne che tralaltro erano sempre più corte, così molte donne si fecero venire in mente le soluzioni più incredibili. Una delle più rapide, ma non facile, era quella di dipingere sulla gamba una finta cucitura sul centro dietro con una matita nera per le sopracciglia. Una seconda possibilità era quella di usare il fard. Stenderlo però richiedeva una certa abilità, perchè l'operazione doveva essere fata velocemente e il colore andava distribuito omogeneamente e in più bisognava attendere piuttosto a lungo prima di poter uscire, per non rischiare di macchiare i vestiti. In caso di pioggia era comunque consigliato stare a casa. I saloni cosmetici si specializzarono così nel fare ogni mattina un trucco perfetto alle donne che andavano a lavorare. Chi non poteva permetterselo cercava altri rimedi, come tingersi la pelle con il succo di cicoria o con le bustine del thè. Alcune rinunciavano a qualsiasi fatica e indossavano calzini anche con le scarpe con i tacchi. Se si aveva come amico un soldato statunitense si poteva sperare in un regalo miracoloso: Le calze di Nylon.








Dopo la guerra il senso di trionfo non riusciva a prendere piede. I ricordi erano troppo tetri, il bilancio troppo spaventoso. Ma la voglia di vita non poteva essere repressa, e così l'interesse per il cinema, per il teatro e per la musica ebbe una vera esplosione, in particolare in Germania, dove si aveva finalmente l'opportunità di scoprire Jean Paul Sartre, Arthur Miller, Tennessee Williams, ma anche le opere di Brecht scritte in esilio. In Francia la vita culturale era continuata senza interruzioni e l'entusiasmo cinematografico sfociò nel 1947 con la prima edizione del festival di Cannes. Gli amanti del balletto si riunirono invece a Londra, centro tradizionale della danza classica, che dopo la guerra trovò sempre più consensi.La riapertura del Royal Theatre a Covent Garden il 20 febbraio del 1946 con La bella addormentata nel bosco segnò l'esordio trionfale di una serie interminabile di grandi successi.
La vita sociale però non si riprendeva con la stessa rapidità di quella culturale. Restava un certo senso di pudore che vietava di divertirsi. Era come se la fantasia fosse stata imbrigliata. Persino i disegnatori di moda più giovani, nel duro periodo del dopoguerra, si sentivano in dovere di essere ragionevoli e non osavano nessuna stravaganza. La grande breccia fu aperta soltanto nel 1947, quando Dior presentò la sua prima collezione d'alta moda nel salone di Avenue Montaigne. Fù Carmel Snow, la direttrice di Harper's Bazaar, a dare un nome a questo stile che entrò nella storia della moda " It's quite a revolution, dear Christian, your dresses have such a new look" si congratulò con il timido stilista. Fù così che la Ligne Corolle, come l'aveva battezzata Dior, divenne il New Look che avrebbe segnato lo stile del decennio seguente. 

Con questa anticipazione vi saluto... Dal prossimo post parleremo di Christian Dior e avremo tantissime cose interessanti da raccontarci !!!

***dimenticavo di ricordarvi che le fonti da cui attingo per scrivere i post sulla storia della moda le trovate nell'elenco Libri Moda che trovate nella sidebar a sinistra.