lunedì 25 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 31. Chanel... ecco alcuni libri da leggere...

Vi segnalo alcuni titoli di libri che raccontano la vita e il lavoro di Coco Chanel, per tutti coloro che fossero interessati ad approfondire l'argomento di cui stò parlando in questo periodo nei post della storia della moda del xx secolo..

-COCO CHANEL, Louise de Vilmorin, ed. Sellerio di Giorgianni € 9.00
-L'IRREGOLARE. COCO PRIMA DI CHANEL, Edmonde Charles-Roux, Rizzoli, € 13.50
-IL MONDO DI COCO CHANEL, Karbo Karen, ed. Lindau € 19.00
-COCO CHANEL. La biografia, Henry Gidel, ed. Lindau € 24.00

-COCO CHANEL. Un profumo di mistero, Fiemeyer Isabelle, ed. Castelvecchi, €16.00
-COCO CHANEL, Weissman Elisabeth, ed. Archinto, €12.00







sabato 16 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 08. COCO CHANEL 3°parte

Il 29 ottobre 1929 ci fu il crollo della Borsa di Wall Street; un avvenimento che sconvolse la società occidentale.
Nel giro di un anno fu evidente che anche la moda parigina ne sarebbe rimasta travolta: ormai il lusso era diventato irraggiungibile per una parte sempre maggiore della popolazione e gli americani, che negli anni Venti avevano popolato e condizionato l’Europa con il loro modo di vivere, erano tornati rapidamente a casa. L’America era diventata non solo povera ma anche austera; la spensierata voglia di divertimento che aveva caratterizzato il dopoguerra fu di colpo cancellata e sostituita con un modello di comportamento più adulto e impegnato, che non corrispondeva in nulla all’idea che la moda aveva proposto fino a quel momento.
Chanel capì che lo stile del nuovo decennio non sarebbe nato né a Parigi né in Europa, ma negli Stati Uniti; intuì che per affrontare il futuro bisognava studiare lo strumento di comunicazione e spettacolo che stava cambiando il modo di pensare di mezzo mondo: il cinema. Il teatro aveva perso il suo ruolo nella cultura popolare, non era più in grado di imporre modelli di riferimento e mode ad un pubblico di massa. Un film raggiungeva in un tempo brevissimo una quantità di spettatori quale probabilmente il teatro non aveva toccato in tutta la sua storia. Le dive, quelle cui il mondo intero guardava per innamorarsi, vestirsi, truccarsi e pettinarsi, venivano da Hollywood. ( vedi: Divismo, http://it.wikipedia.org/wiki/Divismo )
Nel 1931 anche Chanel decise di fare l’esperienza americana, accettando l’offerta che Samuel Goldwyn le stava facendo da molto tempo: vestire le sue dive nei film e nella vita privata.
Così Coco vide come si girava un film, incontrò i capi del reparto costumi e imparò dai più bravi cosa volesse dire fotogenico e come si realizzava. Si rese conto che la cinepresa era una macchina che imponeva nuovi tipi e nuovi volti: Garbo con le orbite profonde e le sopracciglia strappate e ridisegnate, Dietrich con le guance risucchiate, Joan Crawford con la bocca a farfalla. Con il suo staff Coco doveva preparare un guardaroba che due anni più tardi, alla fine della proiezione del film in Europa, non risultasse fuori moda. A Hollywood scoprì un tipo di donna che aveva definitivamente superato il modello ottocentesco; il cinema americano stava proponendo all’immaginario collettivo una figura femminile emancipata, donne affascinanti e fatali che seducevano gli uomini trattandoli da pari.
Quando tornò in Europa fece due cose. Innanzitutto una collezione ispirata a quanto aveva visto negli Stati Uniti, facile e con tessuti poco costosi, ma anche abiti da sera dalla linea nuova e scivolata in sbieco sul corpo, e poi cominciò a lavorare al primo film. Doveva vestire Gloria Swanson in Tonight or never. La pubblicità che ne ottenne fu incredibile e il suo prestigio nel mondo della moda aumentò. Ma l’esperimento terminò qui: le dive giudicarono i suoi abiti poco spettacolari.
Nel 1932 l’International Diamone Guild, l’associazione che riuniva i produttori e i mercanti di diamanti, le chiese di progettare gioielli con gemme autentiche; si trattava di una campagna pubblicitaria promossa dal mercato dei diamanti. Chanel lavorò con un gruppo di amici e in particolare con Paul Iribe, il suo nuovo compagno, e preparò una serie completa di pezzi, snodabili e trasformabili.
L’esposizione, dal titolo Bijoux de Diamants era accompagnata da un catalogo, con fotografie di Robert Bresson, in cui Chanel aveva scritto: “Il motivo che all’inizio mi aveva condotta ad immaginare gioielli falsi, è che li trovavo privi di arroganza in un epoca di fasto troppo facile. Questa considerazione scompare in un periodo di crisi finanziaria in cui, per tutte le cose, rinasce un desiderio istintivo di autenticità, che riconduce al suo giusto valore una divertente paccottiglia”.
Ma negli anni successivi Coco tornò al suo primitivo amore per la bigiotteria e Fulco Santostefano della Cerda duca di Verdura, la creò per lei. Era un nobile siciliano arrivato a Parigi nel 1927 per fare il pittore ed era entrato nella Maison Chanel come disegnatore tessile, ma presto gli era stato affidato il laboratorio di gioielleria. Fu dalla sua profonda cultura artistica e dall’anima barocca che contraddistingue quasi sempre il gusto siciliano che uscirono i bijoux Chanel più famosi. La dimesione dei monili e delle pietre era sempre esagerata e dichiarava in modo esplicito la falsità dell’oggetto, ma contemporaneamente era perfettamente adeguata a completare gli abiti semplici di Coco. Come era stato fatto per i profumi, ai gioielli fu dedicata un’intera vetrina di rue Cambon, in modo da attirare anche la clientela che non poteva aspirare ad un abito, ma che poteva acquistare un bijou o una cintura.
Poi fu il 1936, con il suo sfondo di miseria e disoccupazione, che portò alla vittoria elettorale del Fronte Popolare e agli scioperi di tutti i lavoratori francesi. Anche le operaie della Maison Chanel entrarono in sciopero. Gabrielle rifiutò di ricevere le delegate sindacali, non riconoscendone il ruolo e come risposta, le scioperanti le impedirono l’accesso alla Maison. Le trattative furono tese e difficili; Chanel licenziò trecento persone, ma senza risultato. Allora propose di donare l’azienda alle lavoratrici, conservando per sé la direzione, ma le fu opposto un rifiuto. In realtà quello che gli operai francesi volevano erano contratti collettivi, la settimana lavorativa di quaranta ore e le ferie pagate. Di fronte al rischio di essere messa nell’impossibilità di realizzare la collezione dell’autunno, Chanel dovette cedere, ma non accettò mai realmente quello che era successo; la sua educazione politica doveva essere molto recente e interamente dovuta a Paul Ribe, ultimo suo compagno, che era diventato di destra, antisemita, anticomunista e xenofobo, vicino alle posizioni estremiste dei gruppi patriottici che pretendevano un ritorno all’ordine e pieno di ammirazione per la politica militaristica delle dittature europee. Chanel che non era mai stata attratta dalla politica, vedendo il suo lavoro minacciato, non seppe fare altro che reagire con rabbia, con disprezzo ma soprattutto con paura.
Il successo di Schiaparelli tra l’altro continuava a crescere, costringendo Coco a confrontarsi con lei sul mercato della moda. Rispose creando capi che, oltre al prediletto contrasto bianco e nero, prevedevano colori brillanti e modelli in sintonia con la tendenza del travestimento giocoso: dal 1938 comparvero nelle sue collezioni tinte e forme ispirate ai vestiti da festa dei contadini o degli zingari. Gonne ampie di taffetas multicolore, a righe o a quadri, maniche a sbuffo, pantaloni colorati, bluse e boleri decorati con ricami o merletti di gusto folk. Era come se il suo percorso creativo si fosse scontrato con l’eccesso di fantasia e di lusso che percorreva la fine degli anni Trenta e se il suo senso dell’ordine e del rigore fosse stato messo in crisi. Le sue collezioni continuarono a presentare i capi che l’avevano portata al successo. Però, pur essendo realizzati con grande sapienza, non erano in grado di fare proposte davvero alternative alla concorrenza rappresentata da Schiapparelli o Vionnet.
Il 2 settembre 1939 Francia e Inghilterra, messe di fronte all’invasione della Polonia, dichiararono guerra alla Germania. Tre settimane dopo Chanel chiuse la Maison, lasciando aperta solo la boutique che vendeva i profumi. Le lavoranti, licenziate in massa, ricorsero al sindacato. La Chambre syndicale de la couture parisienne cercò di convincere Gabrielle a sospendere la decisione, ma non ci fu nulla da fare. Chiudeva un’ impresa enorme che nel 1935 dava lavoro a circa quattromila operaie e realizzava ogni anno circa ventottomila capi. E lo faceva a dispetto del fatturato e di ogni considerazione sociale nei confronti di chi lavorava per lei. Probabilmente si era resa conto che non aveva più niente da dire nella moda, la società aveva assunto una forma che lei non riusciva più a far combaciare con il suo modo di pensare i vestiti.
Negli anni della guerra visse al Ritz, dove vi si era stabilita dal 1934, che di nuovo era diventato un punto di incontro e di riferimento, questa volta però dei tedeschi, che occupavano la Francia. E al Ritz visse la sua ultima storia d’amore, con un ufficiale nazista molto più giovane di lei che la coinvolse in un‘improbabile operazione di spionaggio. Nel 1944 partì per la Svizzera, dove rimase per nove anni in volontario esilio e dove, come disse lei stessa, non trovò che la solitudine.
Nel 1946 aveva sessantatré anni e la sua parabola sembrava definitivamente chiusa. Un anno dopo Dior sarebbe comparso sulla passerella della moda tradizionale con uno stile, il New Look, che era l’esatto opposto di quello che lei aveva sempre ricercato e che ebbe un successo travolgente.
Chanel era scomparsa dal mondo della moda, le uniche cose che resistevano erano i tessuti, commercializzati con il marchio Chanel e il suo profumo che continuava ad essere considerato un mito. Tornata a Parigi, il 30 settembre 1953, Coco mandò una lettera a Carmel Snow, redattrice capo di Harper’s Bazar, in cui diceva: “ durante l’estate mi sono convinta che sarebbe divertente rimettermi a fare il mio lavoro che è tutta la mia vita.Vi ho certamente già detto che un giorno o l’altro mi sarei rimessa alla creazione di un nuovo stile, adatto a un nuovo modello di vita, e che aspettavo il momento opportuno. Ho l’idea che questo momento sia arrivato”. La sfilata avvenne il 5 febbraio 1954: compratori, fotografi, celebrità, accorsero convinti di assistere ad una nuova rivoluzione, ma non si aspettavano quello che videro. Non lo capirono e interpretarono la collezione come una semplice riedizione della moda degli anni Venti. La stampa reagì in modo impietoso: il giorno dopo i quotidiani uscirono con articoli durissimi.
A settantun anni Chanel incassò il colpo ma decise di continuare.
A parte il fiasco della collezione decretato dai giornali, era ormai chiaro che la produzione di Alta Moda non era più una fonte di guadagno. Quello che rendeva erano gli accessori, i profumi e il pret-a-porter. La prima reazione positiva alla sua proposta, però, fu rapida e venne dagli Stati Uniti: i modelli della collezione furono venduti meglio di quanto non ci si aspettasse. Alle donne era piaciuta la nuova rivoluzione Chanel. La collezione autunnale ebbe un’accoglienza tiepida, ma l’influenza Chanel stava cominciando a farsi sentire nelle altre sartorie; Balenciaga, Patou e Lanvin proposero abiti diritti e morbidi. Stagione dopo stagione il progetto di Coco diventava sempre più chiaro: creare uno stile immediatamente riconoscibile e non soggetto ai repentini cambiamenti di moda che stavano caratterizzando il decennio. Il suo proposito era costruire una divisa perfetta per vestire il corpo femminile, realizzare un vero oggetto di design, ergonomicamente studiato per rispondere a diverse esigenze: il movimento, l’eleganza, la duttilità. L’oggetto intorno cui si concentrò la ricerca fu il tailleur. Anche i materiali che Chanel utilizzò furono i più diversi: dal jersey al velluto, dal merletto alla mussola di lamé, ma quello che passerà alla storia con il suo nome fu il tweed; un tweed particolare, morbido, a trama larga, tessuto con fili di fibra e torsione diversa in modo da ottenere un effetto elastico e spugnoso. Il completo era composto da tre pezzi: una giacca, una gonna o un vestito senza maniche e una blusa. Il tailleur di tweed era foderato con una seta identica a quella della blusa, in modo da comporre un insieme. Per evitare che il tweed, materiale molle, si deformasse, fodera e tessuto facevano corpo unico: erano percorsi da un’ impuntura caratteristica, spaziata di qualche centimetro, che costituiva una sorta d’imbottitura. Per conservare la caduta a piombo di questi materiali estremamente leggeri e quindi piacevoli da portare, una catenella piazzata in fondo alla giacca assicurava una verticalità irreprensibile all’insieme. Le proporzioni erano invariabili: il busto piccolo e lungo; la gonna o l’abito sempre sotto il ginocchio. Le rifiniture della giacca erano ottenute con bordi ricamati a sfilatura utilizzando trama e ordito del tessuto, che venivano intrecciati con fili di colore contrastante.
Ancora una volta Chanel si trovava al centro del movimento culturale che si proponeva di innovare il gusto occidentale. Orami vecchia, si concentrò sulla realizzazione di un oggetto difficilissimo: il vestito perfetto. In molte culture esistono vestiti perfetti, come il sari o il kimono, ma ci sono voluti secoli per arrivare alla loro definizione. Chanel decise di compiere quest’impresa nei pochi anni che le restavano da vivere. Insensibile a tutte le mode che cambiavano intorno a lei, continuò per tutti gli anni Sessanta a raffinare il suo stile, a realizzare capi sempre più perfetti, a cercare un’armonia sempre maggiore fra i pochi pezzi che componevano le sua opera d’arte. Il suo lavoro era un perfezionamento
continuo che non dipendeva da un progetto fatto a priori, ma dal perfetto adattamento dell’abito alla figura cui doveva appartenere. Il modello era semplice, sempre uguale. Anche l’uso del tessuto non predeva grandi variazioni, sempre materiali morbidi, tweed o jersey usati in dritto filo. Era l’esatto contrario del pret-a-porter, della taglia, dell’abito che va bene a tutti quelli che hanno le stesse, generiche, caratteristiche morfologiche.
Nel frattempo, il profumo e i gioielli, erano ricercati nel mercato internazionale come oggetti di moda: tutte le riviste parlavano di lei e le donne eleganti del mondo intero avevano almeno un suo tailleur nel guardaroba. Persino Jacqueline Kennedy divenne un involontario testimone del marchio con il tailleur rosa che indossava al momento dell’assassinio del marito. Nel 1955 Marilyn Monroe dichiarò, non senza ironia, di dormire indossando solo cinque gocce di Chanel N°5, con un effetto pubblicitario di dimensioni mai viste.
Chanel morì il 10 gennaio 1971 al Ritz a ottant’otto anni.



Modello di tailleur, marzo 1927

Costumi per il balletto Le Train bleu, 1924



Tailleur, aprile 1959. In tweed con i bordi a contrasto, indossato con una camicietta abbinata, sandali, guanti corti, collana e orecchini di perle e cappello di paglia; il tipico insieme Chanel.



Testo tratto da: Storia della moda XVIII-XX secolo, Enrica Morini, edizioni Skira

giovedì 14 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 07. COCO CHANEL 2°parte

Nel 1919 Coco Chanel cominciò a frequentare l’ambiente degli artisti avendo come guida i Sert: lui, un pittore spagnolo di grande fascino, lei, uno straordinario personaggio al centro della Parigi delle avanguardie, precedentemente sposata con Thadèe Natanson, il fondatore di “La Revue Blanche”, una delle più importanti riviste d’avanguardia della fine dell’ottocento. Proust, Monet, Renoir, Redon, Signac, Debussy, Mallarmè, Gide, Toulouse-Lautrec, Vouillard, l’intero gruppo Nabis e molti altri, frequentarono abitualmente la loro casa o collaborarono alla rivista. Nel 1914 lei sposò Josep-Maria Sert, un pittore catalano di grande successo, anche se non d’avanguardia e fù così che Coco si trovo al centro della società degli artisti internazionali che animavano Parigi e cominciò a capire le loro idee per rinnovare la cultura occidentale. A Venezia fu presentata a Djagilev, il fondatore dei Ballets Russes e tornando a Parigi decise di finanziare La sagra della primavera con la coreografia di Massine e ospitò Stravinskij con la famiglia a casa sua. Questo fù l’inizio del suo coinvolgimento nella vita teatrale. Nel 1922 Jean Cocteau le affidò la realizzazione dei costumi per Antigone di Sofocle di cui aveva curato la riedizione; i suoi modelli erano ambientati in una scenografia progettata da Picasso. Nel febbraio 1923 Vogue scrisse “ Quegli abiti di lana dai toni neutri davano l’impressione di indumenti antichi ritrovati dopo secoli… è una bella ricostruzione di un arcaismo illuminato d’intelligenza”. La collaborazione fra Chanel e Cocteau, iniziata con questo lavoro, continuerà per quattrordici anni. Il rapporto con gli artisti dell’avanguardia non impedì a Chanel di essere al centro anche della società alla moda che, in quel primo dopoguerra, stava cambiando le abitudini, i modelli di comportamento, lo stile di vita della borghesia internazionale e frequentava il suo atelier. Parigi era diventata un punto di riferimento: la sua cultura si stava svecchiando e americanizzando; qui più che altrove, si aveva l’impressione che l’Ottocento fosse finito e il mondo moderno stesse prendendo forma. Fu in questo contesto che Chanel conobbe il granduca Dimitrij, nipote dello zar ucciso durante la rivoluzione sovietica. Dimitrij era in esilio; vissero insieme per un anno, nonostante l’abissale differenza sociale che separava le loro origini, ma a questo punto lei era una richissima donna di successo e lui un esule cui rimanevano solo i gusti e i modi di un illustre passato. Grazie a lui Chanel entrò in un ambiente ignoto, con regole e modelli culturali affascinanti, da cui, ancora una volta, trasse ispirazione per il suo lavoro. Innanzitutto scoprì il profumo; dovette essere lui a farle cambiare idea a proposito di quello che lei considerava semplicemente un imbroglio per nascondere il cattivo odore. Fu lui ad indicarle Ernest Beaux, un chimico di Grasse; fu la collaborazione tra Chanel e Beaux a produrre il profumo più famoso del XX secolo; il chimico elaborò il metodo di fabbricazione, mettendo insieme per la prima volta essenze naturali e componenti sintetiche che avevano il compito di stabilizzare la fraganza e farla durare nel tempo. Il suo profumo non somigliava a nessun odore riconoscibile. L’insieme degli ingredienti era dosato in modo da avere una fragranza del tutto specifica e nuova, gradevole e artificiale: Chanel N°5. La confezione era una semplice bottiglia di farmacia trasparente su cui venne applicata un’etichetta bianca con la scritta nera. L’insieme costituiva un’assoluta novità nel campo della profumeria. Chanel N°5 fu la prima realizzazione a uscire dalle sue boutique per imboccare la strada dell’industria: nel 1924 Coco stipulò un contratto con i Wertheimer, proprietari di Les Parfumeries Bourjois (la più grande casa francese di cosmetici), per creare una nuova società, Les Parfums Chanel, incaricata della sua produzione e della sua distribuzione.
L’influenza russa esercitata dal granduca Dimitrij, ma anche dai Ballets Russes, si vide soprattutto negli abiti che Chanel propose in quegli anni. Fu un indumento ad attirare la sua attenzione: la roubachka, il tipico camiciotto con la cintura che faceva parte dell’abbigliamento tradizionale dei contadini russi. La sua foggia era una semplice variazione del capospalla diritto e appoggiato sul fianco che Coco aveva copiato ai marinai e agli stallieri. Allo stesso modo rimase affascinata dai ricami che scoprì sugli indumenti del suo amante; erano disegni a motivi geometrici che venivanoo dalla tradizione popolare, del tutto diversi da quelli eseguiti dalle ricamatrici professionali dell’occidente. La collezione che presentò nel 1922 era incentrata su questi due temi, come disse Poiret “ Chanel aveva inventato la povertà di lusso”. Tra il 1924 e il 1925 i modelli assunsero una linea a tubo con la vita bassa, una cintura annodata sui fianchi e una gonna che poteva essere dritta o con effetti di sbieco che ne favorivano la caduta. L’orlo si alzava sempre più verso il ginocchio. Tutti i riferimenti e le citazioni maschili che, fino a questo momento, aveva utilizzato per costruire il “suo abito”, erano diventate invisibili, trasformate com’erano in semplici elementi di taglio e di comfort di un indumento assolutamente femminile e coerente con la moda parigina. Ma la ricerca di Chanel non era finalizzata ad uno schema decorativo: il suo oggetto era un abito funzionale alla vita moderna e questo la portò al massimo dell’astrazione. Nel 1926 presentò un abitino nero che poteva essere indossato in qualsiasi occasione, contravvenendo alla regola tradizionale di realizzare capi diversi per situazioni sociali differenti. La sua destinazione d’uso era indicata dagli accessori con cui veniva accoppiato. Vogue colse immediatamente il significato del modello e lo paragonò ad un oggetto che poteva essere ritenuto a pieno titolo il simbolo dell’era moderna: l’automobile. Non però un veicolo d’èlite, ma una Ford nera, con cui l’industria americana cercava di raggiungere il mercato di massa, cambiando le sue abitudini di trasporto. Come l’abitino, anche la Ford era utilizzabile in qualsiasi occasione ed era fabbricata in un solo colore che poteva rappresentare sia la serietà del lavoro sia l’eleganza della festa: il nero. Questo vestito può essere considerato il risultato finale del lavoro di semplificazione cui Chanel sottopose l’abito intero femminile; la sua ricerca negli anni successivi si concentrò quindi sul tailleur e sull’abbigliamento informale. Lo spunto venne ancora una volta dal guardaroba di un suo amante: il duca di Westminster. Attraverso lui Coco aveva sperimentato lo stile di vita dell’aristocrazia inglese. Le collezioni degli anni tra il 1927 e il 1930 si specializzarono nei completi composti da giacca diritta di modello maschile, gonna e blusa coordinata, cui si aggiunsero gilet e cappotti sportivi ispirati alla sartoria inglese, arricchiti dai tweed che faceva tessere appositamente in Scozia. Le sue creazioni, nonostante l’ispirazione maschile, erano sempre rigorosamente femminili ma rispondevano alla filosofia vestimentaria dell’abbigliamento da uomo: comodità, semplicità, tessuti morbidi e piacevoli da indossare, stile impeccabile, distinzione. Quando il suo modello ebbe raggiunto il più assoluto rigore, Chanel iniziò a concedersi civetterie e contaminazioni, cominciando ad utilizzare gioielli sempre più vistosi. Per lei i gioielli avevano una funzione nuova: servivano a decorare e rendere femminile un abito, consentendo uno spazio di fantasia alla donna che lo indossava, che personalizzava così un modello molto uniforme. Non era assolutamente necessario che fossero diamanti; Coco diceva “il gioiello ha un valore colorato, un valore mistico, un valore ornamentale: tutti i valori tranne quelli che si esprimono in carati…. Il gioiello non è fatto per provocare l’invidia, al massimo lo stupore; deve restare un ornamento e un divertimento”. Nel 1924 Chanel aprì un laboratorio che affidò alla guida del conte Etienne de Beaumont, per produrre gioielli falsi, bijoux fantastici copiati da quelli veri ma esagerandone le proporzioni e i colori. Alla fine degli anni Venti lo stile Chanel era stato raggiunto: abiti diritti e semplici, giacche e blazer sportivi, colori neutri, materiali morbidi e gioielli finti. Non era nato da un’idea precisa, ma si era andato costruendo nel tempo e attraverso mille esperienze diverse e conteneva, trasformati, tutti gli stimoli culturali di quei due decenni. Il risultato era un’uniforme per la donna borghese moderna. Il compito che affidò al suo lavoro fu inventare un abbigliamento femminile che andasse bene a quelle che, come lei, si vestivano per lavorare e vivere insieme agli uomini, senza pensare di poter usare gli abiti per affascinare eventuali mariti e ancor meno per diventare espositori dello stato sociale della famiglia di appartenenza. Le sue clienti erano signore dell’alta società, quelle che fino a quel momento si erano vestite per conquistare un marito e per esporre la ricchezza della propria famiglia ma che cominciavano a sentire i segni del cambiamento e ad avere voglia di dare una svolta alla propria esistenza. La guerra aveva offerto loro un’occasione di emancipazione irripetibile, la possibilità di creare un vero ruolo femminile borghese con una sua funzione attiva nella società e Chanel si era trovata al loro fianco, perché questo era il compito che aveva dato fin dall’inizio al suo lavoro: inventare una moda che smettesse di decorare le donne del vecchio mondo e che, al contrario, comunicasse l’identità e il ruolo sociale di quelle del nuovo. Leggendo gli articoli di Adolf Loos o i testi attraverso cui Gropius spiegava gli obbiettivi della Bauhaus, si ha la stessa impressione di ricerca di onestà, si coglie lo stesso desiderio di collaborare alla fondazione di un’umanità nuova, capace di vivere la crudezza della modernità senza nascondersi dietro nostalgie del passato o favole esotiche. Il suo abito non era di per sé un segno di distinzione, era un abito moderno adatto a tutte. La distinzione stava del saperlo portare, nell’essere abbastanza giovani e moderne da essere chic in un vestito dal taglio monacale, nell’essere tanto sicure di sé da non avere bisogno di mascherarsi. Nel delineare la filosofia del dandy, Balzac aveva affermato che un uomo elegante è un uomo che non si nota. Chanel applicò lo stesso principio al femminile, partendo innanzitutto da se stessa. Nei suoi comportamenti è facile trovare somiglianze con i dandy ottocenteschi: anche lei propose un modello vestimentario che era in primo luogo il suo e lo impose attraverso un tipo di vita pubblica che sovvertiva tutte le regole del perbenismo borghese e di cui tutti s’impossessarono con avidità.

Testo tratto da: Storia della moda XVIII-XX secolo, Enrica Morini, edizioni Skira


Si conclude qui la seconda parte. E’ impossibile riassumere tutta la vita e il lavoro di Coco Chanel in poche righe… ora io vado in vacanza. In agosto, al mio ritorno, posterò subito la terza ed ultima parte, con allegate finalmente un po’ di immagini…. Buona estate a tutti… a presto CRI

venerdì 1 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 06. COCO CHANEL 1°parte

La vita privata di Gabrielle Chanel ebbe un’importanza fondamentale nel suo percorso creativo, a partire dalla sua infanzia, che nel tempo diventò oggetto di un sempre più esasperato processo di rimozione. La necessità di inserirsi continuamente in ambienti che non le erano propri e la mancanza di radici cui affidarsi, la costrinsero a inventarsi un’identità; una specie di favola che di volta in volta Chanel modificava per rendersi accettabile agli altri, per nascondere parti del suo passato che la ferivano o che riteneva impresentabili. Dalla leggenda della sua esistenza nacquero le sue mode, travestimenti attraverso cui costruiva il proprio personaggio e comunicava agli altri la propria identità. In qualche modo creò abiti solo per sé, per essere quello che voleva essere, per non essere più quello che voleva dimenticare di essere stata, per essere adeguata alla vita che voleva fare.

Nacque il 19 agosto 1883; il padre era un venditore ambulante occasionale, bevitore e donnaiolo, che trascinò moglie e figli in una vita miserabile ed errabonda. La madre era una donna delicata e malata di asma che morì a soli 33 anni dopo aver avuto cinque figli. Quando venne a mancare la moglie, il padre abbandonò i figli e sparì, le femmine vennero affidate ad un orfanotrofio; dai dodici ai diciotto anni Gabrielle visse nell’istituto delle suore del Sacro Cuore di Maria. Terminato il suo internato da orfana, venne messa a lavorare alla Maison Grampayre, un negozio di biancheria e maglieria a Moulins, una piccola cittadina organizzata per le vacanze e i divertimenti ma anche luogo di stanza di diversi reggimenti militari. Gabrielle e Adrienne, sua zia coetanea, rimasero un anno nel negozio come commesse e sarte, poi decisero di aprire una piccola attività in proprio dove continuare a fare riparazioni sartoriali. La conquistata autonomia consentì loro di cominciare a frequentare la vita sociale della città e, in particolare, i giovani ufficiali di cavalleria che la popolavano. Fra i tanti ufficiali c’era Etienne Balsan che proveniva da una solida famiglia borghese di industriali; nel 1908, al momento del suo congedo, chiese a Gabrielle di andare con lui a Royallieu, dove voleva avviare un allevamento di cavalli da corsa. Qui Chanel scoprì un nuovo mondo, quello delle scuderie, dei cavalli, delle corse, della vita spartana e isolata. Probabilmente fu in quegli anni che cominciò a elaborare un suo modo di concepire l’abbigliamento, mettendo a confronto le esperienze avute e il significato degli abiti con cui si era incontrata. Certamente in tale processo ebbero un peso fondamentale le uniformi; l’identità sociale aveva bisogno di un abito adeguato.

A Chanel quello che non piaceva era innanzitutto il ruolo femminile che la moda incarnava: l’odalisca di Poiret, la donna fastosa della Maison Worth, la femme fatale, inutile e bisognosa di cure e protezione che popolava le riviste femminili.
Chanel non si cimentò subito con gli abiti, ma partì modificando i cappelli che acquistava per sé: eliminava gli elementi decorativi troppo pesanti, riduceva le forme, li rendeva più portabili e adatti alla vita che conduceva fra la campagna e i cavalli. Presto la sua abilità destò l’interesse delle donne che frequentavano Royallieu e la cosa le suggerì l’idea di tentare questa strada per raggiungere l’indipendenza. Nel 1909 chiese a Etienne Balsan di aprirle una modisteria a Parigi e l’attività ebbe un immediato successo nel giro delle amiche di Etienne e delle corse, ma Gabrielle non era una vera modista e aveva difficoltà a mettere in pratica le sue idee e decise di contattare Lucienne Rabaté, quella che tutti consideravano una vera promessa nel mestiere, che accettò la proposta e portò con sé due vere lavoranti. Finalmente la modisteria poteva partire con tutte le garanzie. Sostenitore dell’iniziativa prima in senso ideale e poi anche finanziario fù un nuovo amico di Etienne, Arthur Capel, detto Boy, un uomo d’affari inglese ovviamente appassionato di cavalli; In tutti i racconti successivi di Gabrielle venne presentato come l’uomo fondamentale della sua vita.
Gli anni 1910 e 1911 segnarono il primo successo: le riviste cominciarono a pubblicare i suoi cappelli indossati da attrici famose, unico modo per arrivare al pubblico femminile che considerava le dive del teatro modelli di eleganza da copiare.

Durante l’estate del 1913 la coppia seguì l’alta società parigina che, per allontanarsi dai cattivi presagi, si recò in vacanza a Deauville, una cittadina di mare in Normandia in cui, ormai da alcuni decenni, i parigini e i londinesi si recavano per la villeggiatura; cavalli, casinò, barche a vela e negozi alla moda erano gli appuntamenti obbligati di una pigra esistenza che si svolgeva tra passeggiate, incontri per il tè nelle ville, alle corse o al club del polo. La sera si conversava, si andava al casinò o si partecipava a qualche festa privata. I bagni in mare erano ancora una novità che interessava qualche eccentrico o gli inglesi. Gabrielle e Boy intuirono che quello poteva essere il luogo in cui iniziare una vera attività di moda e così lui le finanziò l’apertura della sua prima vera boutique situata nella via più elegante della città. Le signore erano le stesse di Parigi, ma le loro esigenze erano un po’ diverse: gli sport lentamente stavano entrando a far parte dello stile di vita vacanziero e anche il mare e la spiaggia esercitavano un’attrazione nuova. La moda balneare dell’epoca era graziosa e elegante ma ingombrante. Eppure l’aria di vacanza e il contatto con le più spigliate signore inglesi facevano desiderare un abbigliamento un po’ più confortevole. I cappelli semplificati di Chanel conquistarono anche qui il bel mondo; fra le sue clienti c’erano personaggi alla moda, attrici e nobili donne. Ma modificare la foggia del copricapo lasciando inalterato l’abbigliamento non dovette sembrarle sufficiente e così decise di iniziare ad intervenire anche sulla struttura del vestito femminile.

Ancora una volta Chanel si rivolse all’abbigliamento maschile: nel guardaroba inglese di Boy esistevano indumenti pensati apposta per lo sport e per le occasioni non formali. Poi, osservando la vera gente di Deauville, quelli che lavoravano sul mare, scoprì che indossavano maglioni, cuffie di lana, pantaloni comodi; non era forse più razionale adeguarsi alla sapienza antica di quanti da sempre vivevano il mare, piuttosto di opporsi ad esso con indumenti che conservavano una matrice cittadina? Provò a realizzare, innanzitutto per sé, capi di maglia dritti e comodi, poi cominciò a produrre capi da vendere nella boutique: marinare in maglia, pullover sportivi, blazer di flanella copiati da quelli di Boy; era la sua prima esperienza ufficiale di sarta ed ebbe un successo immediato, un successo cui, però, la guerra contribuì in modo fondamentale.

Nel luglio del 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. Deauville inizialmente si svuotò: tutti tornarono a casa tranne Chanel che rimase in attesa degli eventi su consiglio di Chapel; ben presto infatti ritornarono tutti e Deauville divenne la meta di fuga precipitosa dalla capitale. Le ville furono riaperte e le signore, questa volta sole, cominciarono una vita inusuale: non potevano considerarsi in vacanza ma allo stesso tempo erano lontane dalla normalità della città. Per affrontare la nuova situazione iniziarono rifacendosi il guardaroba alla boutique Chanel, l’unica aperta, e comperarono gonne dritte, giacche alla marinara, camiciette, scarpe a tacco basso e cappelli di paglia: una divisa adatta per camminare a piedi, le automobili erano andate in guerra insieme ai mariti e agli autisti, e per svolgere le attività quotidiane. Quando gli alberghi cominciarono ad essere trasformati in ospedali per raccogliere i feriti che arrivavano dal fronte, si rese necessario il loro impegno come infermiere e di conseguenza una divisa bianca; le uniformi delle cameriere degli hotel, distribuite alle volontarie per ordine dell’ufficiale medico, vennerò affidate a Chanel che le adattò alla nuova necessità.

Ma c’era un altro luogo, oltre Parigi e Deauville, che la società del lusso aveva scoperto in questi primi anni del conflitto: si trattava di Biarritz. La vicinanza al confine spagnolo aveva trasformato la cittadina basca in centro di attrazione soprattutto per gli imboscati e per quelli che stavano approfittando della guerra per arricchirsi; insieme a loro c’era anche la buona società spagnola che veniva in vacanza. Boy e Coco decisero di ripetere l’esperimento di Deauville, ma questa volta con maggiori pretese: aprirono una vera e propria Maison de Couture che fù collocata in una villa posta di fronte al casinò. L’attività fu affidata ad una sorella di Coco, Antoniette, affiancata ad abili premières e rifornita direttamente da Parigi. La clientela comprendeva evidentemente i nuovi ricchi rifugiati, ma fu soprattutto l’élite spagnola a scoprire la nuova moda e a decretarne il successo: gli ordini fioccavano dalla corte di Madrid e dalle signore di Bilbao e San Sebastian.

L’impresa Chanel nel 1916 contava trecento lavoranti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’impegno bellico della Francia non ridusse la produzione dell’Haute Couture parigina, al contrario, il governo comprese che la moda era una delle poche attività che potevano sostenere il bilancio del paese con l’esportazione e con il consumo diretto. Il mercato americano venne salvaguardato con ogni mezzo, ma il problema era rappresentato dai materiali indispensabili per confezionare abiti. Molti servivano per le divise dei soldati, molti si facevano rari per mancanza di operai nelle aziende tessili. Chanel risolse il problema pensando che i suoi modelli avrebbero dovuto essere di maglia; ma la lana e le lavoranti necessarie mancavano, così acquistò da Rodier interi stock di un tessuto che era stato realizzato a titolo sperimentale: il jersey. L’industriale lo aveva destinato alla biancheria intima maschile, ma l’accoglienza era stata scettica e le rimanenze enormi; Coco capì che quel materiale così sobrio, di un banale color nocciola, che sembrava adatto forse ad abiti da lavoro, poteva diventare un nuovo modello di eleganza di assoluta semplicità; le sue donne potevano camminare diritte e agili in vestiti che non stringevano il corpo. L’abito le rendeva autonome: il resto era compito loro. Quello che offriva alle donne era contemporaneamente un modo di vestire e un modo di vivere e di pensare. Poiret aveva parlato di liberazione del corsetto ma lo aveva fatto da uomo. Chanel sapeva cosa comportava indossarlo e aveva sperimentato che cosa significa la libertà di movimento di un abito maschile. La nuova eleganza doveva venire dalla funzionalità e dall’adeguatezza alla situazione.

Nel 1916 la stampa iniziò ad accorgersi di lei e Harper’s Bazar pubblicò per prima un suo modello. Nel maggio dello stesso anno Les Elegances parisiennes, una delle poche riviste di moda che uscivano in Francia in quegli anni di guerra, pubblicò sei completi di Chanel, uno dei quali aveva un aspetto decisamente maschile. La gonna a pieghe, che ormai si era accorciata al polpaccio, era accoppiata a un blazer, con quattro tasche applicate chiuse con ribatta e bottone, che denunciava chiaramente di essere ispirato a una divisa militare, anche se era realizzato in jersey. Dal 1917 i suoi modelli cominciarono ad essere pubblicati con regolarità, al pari di quelli delle altre sartorie. Chanel si aggregò il meno possibile alle tendenze generali, preferendo proseguire la sua linea di semplicità e di rigore e limitando le variazioni del jersey ai sobri ricami e alle bordure di pelliccia o all’accostamento della tinta unita con le righe colorate e lo scozzese. Blazer, marinare e gonne morbide erano la sua specialità.
Anche Vogue pubblicava regolarmente i disegni delle sue creazioni, che si arricchirono di colori come il verde e il rosso per accontentare il gusto delle signore d’oltreoceano, senza però che questo significasse un allontanamento da quelle tinte sobrie, come il beige, che rappresentavano la sua idea sulla moda.

La fine della guerra fu contrassegnata da un arricchimento della sua produzione: ai modelli in jersey cominciarono ad aggiungersi abiti da sera più fantasiosi realizzati in tessuti usuali e femminili finalmente reperibili: il raso, il velluto, lo chiffon e il pizzo chantilly. Anche le decorazioni si adeguarono al ritmo di vita più euforico e festoso del dopoguerra: ai bordi di pelliccia si aggiunsero ricami in jais, reti trasparenti ..ecc. La fine del conflitto rappresentò per Chanel anche la fine di una fase della sua esistenza: Boy Chapel sposò la figlia di Lord Ribblesdale in una cornice adeguata e Coco fù sacrificata alle ragioni dello stato sociale; d’altra parte lei era un’irregolare, una che non si poteva sposare se non al prezzo dell’escusione dalla buona società. Ma la loro storia finì solo nel dicembre del 1919 quando lui morì in un incidente stradale. A questo punto per Coco Chanel cominciò una nuova vita. (fine prima parte)


Testo tratto da: Storia della moda XVIII-XX secolo, Enrica Morini, edizioni Skira




Harper's Bazaar è una rivista di moda americana creata nel 1867 da Fletcher Harper che si rivolge principalmente a un pubblico femminile. Inizialmente settimanale, nel 1901 divenne mensile. Era intitolata Harper's Bazar fino al 1929 quando è stata aggiunta la seconda "a". Nel corso dei decenni è divenuta la naturale antagonista di Vogue grazie ad una politica di ingaggi di grandi firme e artisti, fotografi