venerdì 24 novembre 2017

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 32.SHOCKING LIFE Autobiografia di un'artista della moda


Nel nostro racconto attraverso la storia della moda stiamo parlando di Elsa Schiaparelli. Volevo consigliare un'interessante lettura a tutti coloro che fossero interessati ad approfondire l'argomento. Shocking Life è la sua autobiografia, uscita in Inghilterra nel 1954 e pubblicata in Italia solo da qualche anno.

Shocking life. Autobiografia di un'artista della moda
Elsa Schiaparelli
Alet Edizioni




Storia della moda nel XX secolo. Lezione 11. ELSA SCHIAPARELLI -2° parte

Elsa Schiaparelli





Il 1°gennaio 1928 Elsa trasferì abitazione e attività in un vecchio e fatiscente appartamento al 4 di Rue de la Paix, che aveva come unico merito quello di essere nella zona della moda, dove espose l’insegna Schiaparelli Pour lo Sport e cominciò a presentare le sue collezioni. Erano abiti sportivi ben costruiti e progettati per i movimenti richiesti, ma colorati e decorati con immagini e scritte: pesci rossi, ancore, stelle, cuori trafitti, anche sui costumi da bagno. La diffusione del nuoto e delle vacanze al mare aveva portato a una trasformazione del costume, che veniva realizzato con lavorazioni a maglia più elastiche e aderenti, eliminando la copertura di braccia e gambe e aprendosi in profonde scollature sulla schiena. Questa novità fu ripresa da Schiaparelli e divenne una delle sue specialità. Anche per lo sci cercò soluzioni più eleganti rispetto a quelle un po’ rigidamente montanare che erano in uso.

Nei primi anni Trenta le collezioni si allargarono alle toilettes da città e da sera, trasformando quella che era stata fino ad allora una produzione specializzata, in una vera e propria Maison de Couture.
Nonostante avesse iniziato questo lavoro senza avere la minima conoscenza della cultura manuale tipica della sartoria, Schiaparelli elaborò idee molto precise a proposito del modo in cui dovevano essere concepiti i vestiti.
I tailleur di tweed e le gonne pantalone divennero presto le specialità della casa, insieme agli abiti da sera completati con la giacca. Anche i decori cominciarono ad essere più provocatori: una di queste giacche, ad esempio, prevedeva due mani maschili guantate incrociate sulla schiena, come se la donna che la indossava fosse perennemente abbracciata da un uomo. Fra le frequentatrici della Maison Schiaparelli cominciavano ad esserci attrici di rilievo, come Katherine Hepburn o Ina Claire. Elsa, seguendo l’esempio di Chanel, scelse di indossare i suoi abiti personalmente a party e occasioni mondane, soprattutto quando si trattava di soluzioni nuove e stravaganti, quelle che nemmeno le clienti più eccentriche e alla moda avevano il coraggio di sperimentare per prime. Le sue origini aristocratiche e le sue amicizie all’interno del mondo degli artisti internazionali, le permisero di essere accettata alla pari dalla società del lusso. Lei stessa si sentiva un artista. Fare un abito era solo tecnicamente un problema di sartoria, ma in realtà era un modo per intervenire nella cultura estetica di un’epoca e delle donne che lo indossavano o lo vedevano indossato. Il vestito era il primo strumento di comunicazione interpersonale. Questo la indusse a cercare in ogni modo un rapporto diretto con i suoi “committenti” per influenzarli e condividerne le esigenze sociali; compagna di feste e consigliera di bellezza, questo era il ruolo che aveva scelto.

All’inizio degli anni Trenta aveva messo a punto una silhouette femminile che corrispondeva allo stile e all’ideale di donna che si stava facendo strada dopo la Grande Crisi del 1929; la ricchezza tornava ad essere un bene rarissimo che si poteva comunicare attraverso il lusso e l’estrosità di cui si mostrò maestra. Gli abiti dovevano proteggere la nuova donna dai contrattacchi del maschio, di cui stava sfidando superiorità e dominazione e di cui stava invadendo il territorio. Nella battaglia dei sessi i suoi abiti riflettevano un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno e aggressivamente seducente di notte. Difesa e sicurezza dovevano essere i principi informatori della divisa che l’esercito di donne impegnate nel lavoro indossava di giorno per procedere lungo la strada dell’emancipazione. Ma di sera si apriva lo spazio di un’altra battaglia, quella dei sessi. I dieci anni passati fra New York e Parigi le avevano insegnato che l’universo femminile cominciava a costruire un universo autonomo di cui l’uomo era la controparte, un nemico da fronteggiare per farsi spazio nel campo del lavoro. Vestirsi diventava una filosofia da gestire con sapienza e intelligenza. Per la battaglia quotidiana si trattava di costruire una divisa guerriera utilizzando particolari presi dall’abbigliamento da uomo. Nacque così la silhouette a grattacielo: linee dritte verticali e spalle larghe squadrate con il seno protetto dal doppio petto con i revers spesso puntuti e in colori contrastanti. Per ottenere questo effetto i vestiti venivano muniti di imbottiture che si collocavano soprattutto sulle spalle, sulle quali si concentravano anche le decorazioni. Il saccheggio del guardaroba maschile non si limitò ai segni secondari, come l’imbottitura, ma coinvolse tutta una serie di indumenti piuttosto inconsueti che contribuirono al diffondersi di un’immagine femminile sottile ma agguerrita: dolman* da cosacco, uniformi da ferrovieri, giacche rosse da cavallo, costumi da torero, cappe militari irrigidite da ricami, fino ad arrivare alle sontuose vesti dei dogi trasformate in mantelli da sera. Anche Chanel, nel decennio precedente, aveva adottato indumenti simili per costruire una divisa adatta all’emancipazione femminile, liberando il corpo dalle costrizioni e offrendogli una nuova e maggiore capacità di movimento, ma Schiaparelli andò oltre. Conquistato il comfort si trattava di connotare in modo più femminista l’abito, permettendo alla donna di trasmettere attraverso le sue forme e le sue decorazioni, la ricchezza del proprio mondo interiore, la sua femminilità. Ad una struttura assolutamente semplificata e poco mutevole (la divisa) affiancò una fantasia sfrenata che si espresse attraverso decorazioni e accessori, con cui interpretò le mille facce di una cultura femminile lussuosa, eccentrica, ironica e seducente che si espresse soprattutto negli abiti da sera. Esempio di questa ricerca furono i cappelli e i copricapi che assunsero le forme più inconsuete ed estrose trasformandosi in veri e propri strumenti di comunicazione.
Dal 1931 Schiaparelli cominciò a ingrandire la sede della Maison, occupando i primi piani del palazzo in rue de la Paix e aprendo un piccolo spazio vendite nel cortile. Insieme all’attività si era allargato anche il suo staff, che ormai prevedeva un responsabile per ogni settore operativo e una serie di collaborazioni, alcune delle quali durarono per sempre, tra le quali anche alcuni importanti artisti come Dalì e Cocteau, Giacometti, Leonor Fini e Christian Bérard. E fotografi come Meyer e Man Ray che aveva conosciuto a New York ma anche Horst, Beaton e la scoperta di Avedon negli anni del dopoguerra. Elsa continuò a lavorare sulla stessa silhouette, variandone costantemente l’immagine e la logica decorativa. Nel 1933 propose la linea scatola con cappe* che scendevano diritte dalle spalle formando angoli retti. L’anno dopo comparve la linea cono, ispirata a Poiret, con sontuosi pijama da sera, e poi la linea uccello: berretti alati, ali in spalla abbastanza grandi per volare, cappe alate su giacche da indossare di giorno e di sera, risvolti ad ala, coda ad ali, le esotiche colorazioni dei mari del Sud, le piume di fenicotteri, pappagallini verdi e canarini. Alla fine dell’anno presentò la silhouette temporale che sviluppò nella linea tifone, una versione aerodinamica del vestito degli anni precedenti.
Nello stesso periodo sperimentò una grande quantità di materiali, sintetici o rielaborati chimicamente, alla ricerca di effetti particolari che otteneva spesso mischiando elementi diversi o usandoli in modo mimetico.
Nel 1935 la Maison, nel pieno successo, fu trasferita in Place Vendome, in uno dei palazzi secenteschi realizzati da Mansart per Luigi XIV. La Boutique divenne subito famosa grazie alla nuova formula Pret-à-porter. C’erano i golf per la sera, le gonne, le bluse e tutti gli accessori sdegnosamente respinti dalla Haute Couture. Le vetrine erano divertenti e audaci e sconvolgevano tutte le tradizoni. La produzione non si limitava più alla sartoria, ma spaziava dai profumi agli accessori, dai bijoux agli indumenti sportivi. L’idea era offrire alle clienti sia la possibilità di vestire Schiaparelli dalla testa ai piedi, sia di scegliere anche un solo particolare estroso da aggiungere alla propria divisa quotidiana. La Boutique divenne uno dei punti obbligati della moda parigina. La nuova sede rappresentò una svolta anche nella sua attività creativa. Dal 1935 le collezioni ebbero una cadenza stagionale, divennero quattro ogni anno, cominciarono ad essere concepite ognuna intorno a un tema d’ispirazione che faceva da filo conduttore tra gli abiti, gli accessori, la loro presentazione in sfilata e la comunicazione sulla stampa. Elsa scoprì che seguendo questo metodo riusciva a progettare non solo l’abito, ma un’intera immagine femminile armonizzata in tutte le sue parti: dalla scelta del tessuto, alle allacciature, ai ricami fino al cappello, alla borse e alle scarpe, tutto poteva essere coordinato seguendo un’idea principale, scatenando la creatività in voli di fantasia ricchi di humour e di teatralità. Per la primavera del 1935 come motivo furono scelte le cerniere. Apparivano per la prima volta e con collocazioni inattese, persino sugli abiti da sera; realizzate in colori contrastanti rispetto al vestito così da accentuare la loro visibilità, furono un vero successo di vendite. Nella collezione estiva comparve il tessuto stampato a pagina di giornale che le era stato ispirato da una venditrice di pesce di Copenhagen che usava un copricapo di carta per ripararsi dal sole. La collezione d’autunno affrontò il tema politico e si chiamò “Fermati, guarda, ascolta”.
In dicembre andò a Mosca per rappresentare la Couture francese alla Prima Fiera Internazionale Sovietica e disse “ La Russia era un paese che decisamente mi affascinava e poi non voleva andarci nessuno e questo già di per sé era irresistibile. Un viaggio culturalmente rilevante fra le sconcertanti novità della Russia sovietica e le meraviglie delle collezioni imperiali di Mosca e Leningrado.
Il motivo del volo e dei nuovi mezzi di trasporto che cominciavano a solcare i cieli, fu alla base di entrambe le prime sfilate del 1936. La collezione invernale si adeguò invece alla moda che tutte le case parigine stavano proponendo: gli abiti bianchi, in sbieco, scivolati sul corpo, ispirati all’abbigliamento delle statue greche, Elsa interpretò a suo modo l’idea e realizzò sia abiti morbidi di raso sia modelli più vicini al suo stile, decorati da un motivo, probabilmente ripreso da una tappezzeria del primo Ottocento. Nella stessa collezione presentò un cappello che aveva il significato di una presa di posizione a favore del Fronte Popolare: una versione Haute Couture del berretto frigio*, che era diventato il simbolo degli scioperi che avevano sconquassato la Francia e le sartorie di Alta Moda. Schiaparelli risolse presto la situazione contrattuale delle persone che lavoravano nel suo atelier garantendo salari più alti della media, tre settimane di ferie l’anno e una particolare forma di assistenza malattia.

Dolman
mantello caratterizzato da maniche ampie e simili ad una sciarpa, cucite al corpetto del vestito, così da sembrare metà giacca e metà mantella.

Cappa
Mantello largo senza maniche, con due aperture laterali per far passare le braccia, dotato di cappuccio e spesso foderato di pelliccia

Berretto Frigio

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 10. ELSA SCHIAPARELLI -1° parte

Suzanne Lenglen

Elsa Schiaparelli nacque a Roma nel 1890 in una famiglia di intellettuali piemontesi che ricoprirono cariche importanti in diversi campi. Avrebbe voluto fare l’attrice ma la posizione sociale della famiglia non poteva consentirle di salire su un palcoscenico. Scrisse poesie in stile vagamente dannunziano e un cugino, critico d’arte e collezionista, le scoprì e convinse un editore a pubblicarle. Il libro scoppiò in famiglia come una bomba. I giornali se ne impadronirono, estratti furono pubblicati in Italia ma anche all’estero. Il padre di Elsa considerò tutto questo come un disonore e si rifiutò di leggerle. Come punizione e per poterla tenere sotto controllo fu deciso di mandarla in un convento della Svizzera tedesca. La soluzione però fu temporanea perché Elsa cominciò uno sciopero della fame che convinse i genitori a recedere dalla decisione. Un’amica della sorella, un’intellettuale d’avanguardia, cominciò ad occuparsi di bambini orfani e chiese informazioni a proposito di una ragazza che potesse aiutarla nell’impresa. Elsa decise di cogliere l’occasione. Partì accompagnata da amici di famiglia alla volta di Londra. Quando arrivò nella capitale inglese si trovò immersa in un’austera atmosfera sociale unità a profondi movimenti d’innovazione e tutto questo l’affascinò. Fu qui che conobbe il conte William de Wendt de Kerlor, uno strano personaggio cosmopolita che praticava e predicava le nuove dottrine filosofico-religiose di ispirazione orientale che si stavano diffondendo fra gli intellettuali europei d’avanguardia. Si sposarono pochissimo tempo dopo, all’inizio del 1914, in una Londra invasa dalle manifestazioni delle suffragette.
Allo scoppio della guerra si trasferirono a Nizza e nel 1919 partirono per gli Stati Uniti. L’impatto con il nuovo mondo fu fortissimo; tutto era diverso dall’Europa.
Nel giro di un anno ebbero una figlia, ma il matrimonio si rivelò un disastro e il marito se ne andò poco dopo. Nello stesso periodo il padre di Elsa morì e lei si ritrovò a New York con una bambina da allevare e senza il sostegno economico della sua famiglia di origine. Si mise a cercare un lavoro qualsiasi e conobbe Gabrielle Buffet, la poetessa dadaista ex moglie di Francis Picabia, che si offerse di occuparsi della bambina mentre lei cercava lavoro e che la coinvolse in un tentativo di vendita di biancheria portata da Parigi. La merce scelta si rivelò inadatta al mercato americano e l’esperienza fallì immediatamente. Nel frattempo Gabrielle introdusse Elsa nella vita di New York e iniziò a frequentare un gruppo di artisti dada e di fotografi d’avanguardia come Man Ray e Marcel Duchamp. La sua vita iniziò così a svolgersi fra lavori saltuari e avventurosi, cambiando continuamente casa e frequentando amici bohemien e fuori dalle regole borghesi. Sua figlia Gogo si ammalò però di poliomielite e il 1922 decise di tornare in Europa. Partì per Parigi insieme ad un’amica, anch’essa madre di una bambina e senza marito. Fece ricoverare la bambina e si trovò un lavoro presso un antiquario. Il clima culturale e mondano della capitale francese era vivacissimo; sembrava addirittura che il dopoguerra avesse aumentato l’attrazione che la città esercitava sugli artisti e sul bel mondo internazionale. Tutto sembrò ricominciare come a New York, fra lavori saltuari, amicizie anticonformiste, dimore precarie e una grande disponibilità alle esperienze che potevano essere offerte ad una donna indipendente. Fu in quel periodo che cominciò a inventare abiti; il colore e il ricamo, due caratteristiche dello stile di Poiret, furono sempre tra i segni distintivi delle sue creazioni. Ma non cominciò da quell’idea di lusso Belle Epoque che stava portando il couturier al fallimento, scelse invece un settore che negli anni venti stava aprendosi per assecondare la crescente partecipazione femminile agli sport.
Già dalla fine dell’Ottocento le donne avevano iniziato a praticare alcuni sport, ma fu negli anni Venti che la cultura del corpo e l’attività sportiva divennero una moda diffusa, tanto da giustificare l’invenzione di un abbigliamento specifico. L’esplosione dell’eleganza sportiva trovò il suo modello in Suzanne Lenglen, la famosa tennista che aveva aggiunto un tratto atletico alla silhouette sottile, androgina ed elegante di madama Poiret. Con grande scandalo, Suzanne entrò nei campi da gioco più esclusivi indossando un completo composto da una gonna a pieghe senza sottovesti e una corta blusa derivata dal gilet maschile, delle calze di seta bianca e una fascia colorata intorno alla testa. La nuova divisa s’impose e introdusse nei campi da tennis internazionali, che ormai erano diventati un appuntamento obbligato per l’alta società, un completo che lasciava libero il corpo e che univa al bianco d’obbligo estrosi tocchi di colore acceso. Elsa capì che questa poteva essere una strada di sicuro futuro e iniziò a realizzare abbigliamento sportivo. Nel 1925, sostenuta dal finanziamento di un’amica americana, Mrs. Hartley, acquistò la Maison Lambal, una piccola sartoria. Nel gennaio 1926 Women’s Wear Daily le dedicò un servizio. La prima vera collezione fu presentata nel gennaio 1927 in un minuscolo appartamento in rue L’Université , dove Schiaparelli abitava. Si trattava soprattutto di maglieria dai brillanti colori, che si ispirava sia al futurismo sia a Poiret, ed era realizzata con materiali nuovi, come il kasha, un tessuto di cachemire particolarmente morbido ed elastico. Il gioco dell’accostamento dei colori e dei materiali prevedeva cardigan abbinati con gonne in crepe de Chine, ma anche calze e sciarpe coordinate ai completi.
Il modello che poco tempo dopo la lanciò definitivamente nella moda fu un golf particolare. Lo aveva visto indosso ad un’amica ed era stata colpita dal suo aspetto solido ed elastico, ma in modo diverso dal normale lavoro a maglia fatto a mano. Aveva scoperto che era stato realizzato da una donna armena, una dei tanti profughi di quel paese che si erano rifugiati a Parigi per sfuggire ai massacri che i turchi stavano perpetrando nell’Anatolia dell’est. Un particolare punto a maglia, ottenuto con due fili di lana, permetteva di realizzare un capo certamente più consistente di quelli tradizionali europei, e soprattutto, secondo l’innovazione che subito apportò Elsa, di inventare effetti di disegno utilizzando i due fili di colore diverso; “ disegnai un grande nodo a forma di papillon sul davanti, come una sciarpa arrotolata intorno al collo”. Quando finalmente venne raggiunto l’effetto desiderato, fu lei stessa a indossare il maglione in pubblico e immediatamente attirò l’attenzione sulla novità. A tempo di record furono trovate le donne armene che sapevano lavorare a maglia, furono riunite in un albergo dove realizzarono i maglioni, furono cucite le gonne da accompagnare a ciascuno di essi in un tessuto che Elsa aveva acquistato in saldo alle Galeries Lafayette. La nuova idea s’impose a Parigi attraverso un canale che ormai stava diventando normale per la diffusione delle mode: quello delle attrici e dei personaggi da rotocalco. Vogue francese pubblicò nel numero di Agosto 1927 con il titolo “L’eleganza del golf lavorato a mano” e il 15 dicembre Vogue America li presentò come Opere d’arte. A questo punto la fantasia di Elsa si scatenò e sui golf comparvero cravatte da uomo, nodi, fazzoletti al collo, scialli, schemi per cruciverba, ma anche effetti misti come foulard stilizzati che terminavano con cocche di tessuto reale o cinture disegnate chiuse con vere fibbie di metallo. Negli anni seguenti la ricerca sul trompe-l’oeil si radicalizzò e la maglia divenne immagine del corpo, allora Elsa la riempì di tatuaggi con cuori trafitti e scritte allusive come fosse il petto di un marinaio, oppure la illuminò del disegno in bianco dello scheletro di chi la portava come fosse visto ai raggi X.

Nel giro di poco tempo tutte le donne alla moda ebbero un suo maglione che a New York era in vendita a 95 dollari. Nonostante la richiesta crescente, Elsa ne limitò sempre in modo drastico la produzione per conservare loro un valore elitario e di alta moda. La produzione, comunque, era in continuo sviluppo, tanto che Schiaparelli dovette assumere una responsabile per questo settore.






venerdì 17 novembre 2017

Lezioni di cucito dal libro della nonna 15. IL GRADO DI VESTIBILITA'



Per stabilire, quando e dove sono necessarie modifiche al cartamodello, abbiamo detto che dobbiamo confrontare le proprie misure con quelle del cartamodello; le misure più importanti sono indicate sulla busta. Le proprie misure non necessariamente devono essere identiche a quelle del cartamodello, anzi, nessun indumento deve aderire al corpo così perfettamente come il metro a nastro, perché è necessario avere la possibilità di sedersi, camminare, sporgersi, chinarsi. La tabella indica le misure minime necessarie per rendere un cartamodello più largo della figura in sei punti fondamentali. (fig.1) Questa quantità in più viene appunto chiamata Grado di vestibilità ed è una cosa diversa dalla morbidezza del modello, che è una ampiezza specifica creata per costruire modelli larghi. Il grado di vestibilità può essere modificato rispetto a quello indicato nella tabella, ad esempio un modello disegnato per una maglia necessita di minor vestibilità come invece le figure più forti potrebbero necessitare di qualche centimetro in più. Comodo può essere indicare le proprie misure nella tabella e usarla durante una modifica.

Lezioni di cucito dal libro della nonna 14. MODELLO E PROVA PER L'ABITO SU MISURA

I cartamodelli, essendo fatti per milioni di persone e con taglie standard, non sempre corrispondono alle misure volute. Un modello potrà star bene in alcune parti della figura e meno bene in altre. Una volta stabilite le differenze di misura che esistono tra la propria figura e il modello, le modifiche da seguire sono semplici:le modifiche base consistono nell’avvicinare le misure del cartamodello alle proprie e si lavora confrontando le misure del proprio corpo con quelle stampate sul retro della busta e trasferendo le differenze sui pezzi del cartamodello ( nelle prossime lezioni vedremo come si modificano i vari pezzi di un cartamodello), si tratta di cambiamenti delle lunghezze, delle larghezze e della posizione delle pinces;le modifiche secondarie sono più particolareggiate e si eseguono con l’aiuto della teletta. La teletta è ricavata dal modello base in una stoffa economica, con il preciso scopo di controllare determinati particolari; posizione del dritto filo, pinces e cuciture, caduta dell’indumento, aderenze delle maniche ecc.ecc….Le modifiche della teletta vengono riportate sul modello base, che viene usato poi con ogni nuovo modello, in modo che sia facile individuare i ritocchi.Le modifiche preliminari sul cartamodello non sono i soli mezzi per ottenere una buona vestibilità ma passaggio fondamentale è la prova dell’abito a metà confezione ( abito interamente imbastito, cioè cucito a mano) che è indispensabile per fare i piccoli ritocchi e talvolta, quando si vuole realizzare capi particolarmente complicati, può essere perfino necessario confezionare un indumento di prova con un tessuto economico, prima di affrontare la confezione dell’abito vero e proprio.I cartamodelli sono realizzati per una figura ideale ed immaginaria sulla quale sono costruite tutte le taglie. Questa figura ha un portamento perfetto e simmetrico, proporzioni e contorni invariabili. La propria figura può avere le linee principali, busto vita e fianchi, posizionate più in alto o più in basso rispetto a quelle del modello standard. Anche la lunghezza totale è questione di proporzioni personali a prescindere da qualsiasi moda. Le proprie curve, sporgenze e incavature possono non soltanto essere diverse dagli standard del cartamodello ma anche cambiare con il tempo. L’acquisto o la perdita di peso, la maturità fisica e gli indumenti intimi possono influire e cambiare i contorni. Per adattare un modello è necessario modificare le pinces e le cuciture curve che fanno aderire un capo alla figura.Lo scopo delle modifiche è di renderlo su misura, ma, innanzitutto, bisogna decidere che cosa s’intende per abito a pennello. A questo proposito bisogna considerare quattro fattori: l’aspetto, la comodità, il modello e la stoffa. Perché l’aspetto sia buono, tutte le pinces e le cuciture devono cadere nel punto giusto e nell’insieme il capo deve avere un aspetto armonioso, cioè non deve tirare né fare grinze né avere parti che stringono o che cedono. Alcuni indumenti sono per definizione più comodi di altri ma si dovrebbe sempre potersi sedere, chinarsi, camminare e sporgersi con qualsiasi indumento senza che le cuciture tirino o senza sentirsi costrette. Il principale contributo alla comodità è dato dall’agio ( grado di vestibilità, lo vedremo nelle prossime lezioni).


Lezioni di cucito dal libro della nonna 13. COME USARE LE STOFFE DIFFICILI


Alcune stoffe devono essere cucite e stirate in modo speciale a causa della loro struttura o del loro finissaggio. Conoscere questi insoliti requisiti aiuta a scegliere la stoffa specialmente nel caso in cui la confezione richieda tempo e particolare abilità.

TAFFETA’ (broccato, satin) Cucitura: può essere cucito una sola volta perché i punti tolti lasciano i buchi e dovrebbe essere maneggiato il meno possibile, perché si stropiccia e si sporca facilmente. Non si molleggia bene.
Stiratura: L’acqua può lasciare macchie, usare un ferro asciutto e a bassa temperatura.

CRESPO Cucitura: la lunghezza e la tensione del punto devono essere regolate con cura per evitare gli arricciamenti. La maggior parte dei crespi tende ad allentarsi.
Stiratura: il vapore fa restringere o arricciare alcuni tipi di crespi.

TESSUTI TRASPARENTI Cucitura: Le cuciture, le pinces e altri particolari della confezione dei tessuti trasparenti devono essere netti perché traspaiono sul dritto, generalmente si usano le cuciture all’inglese o doppie.
Stiratura: Il vapore fa restringere o arricciare.

PIZZO Cucitura: le cuciture devono essere rifinite in modo ordinato, come viene fatto per tutti i tessuti trasparenti oppure bisogna controfoderare la stoffa per nasconderle.
Stiratura: Bisogna avere cura di non urtare con il ferro i rilievi del pizzo.

VELLUTO Cucitura: può essere cucito soltanto una volta perché se si tolgono i punti possono rimanere i buchi. Dovrebbe essere cucito con un ago sottile e preferibilmente nella direzione del pelo.
Stiratura: stirare il velluto sempre dal rovescio. Le temperature alte sciolgono il velluto. Durante la confezione stirare il meno possibile.

MAGLIA ELASTICA Cucitura: per evitare che le cuciture scoppino bisogna usare tecniche e punti speciali mentre nelle zone dove non si desidera l’elasticità ( come nella spalle) le cuciture devono essere rinforzate con una fettuccia. Per le maglie che si arricciano ai margini fare una cucitura a sopraggitto. Dovrebbero essere usati aghi con la punta a sfera per evitare i buchi.
Stiratura: Se non si maneggia delicatamente può essere allentata o distorta. I margini delle cuciture possono lasciare segni sul dritto.

TESSUTO DOUBLE-FACE Cucitura: per trarre vantaggio dalla reversibilità le parti del capo sono solitamente unite con cuciture ribattute e i margini del capo sono rifiniti, di regola, con una spighetta ripiegata o con una guarnizione simile.

Stiratura: è necessario un panno pesante per appiattire bene le cuciture.