venerdì 24 novembre 2017

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 11. ELSA SCHIAPARELLI -2° parte

Elsa Schiaparelli





Il 1°gennaio 1928 Elsa trasferì abitazione e attività in un vecchio e fatiscente appartamento al 4 di Rue de la Paix, che aveva come unico merito quello di essere nella zona della moda, dove espose l’insegna Schiaparelli Pour lo Sport e cominciò a presentare le sue collezioni. Erano abiti sportivi ben costruiti e progettati per i movimenti richiesti, ma colorati e decorati con immagini e scritte: pesci rossi, ancore, stelle, cuori trafitti, anche sui costumi da bagno. La diffusione del nuoto e delle vacanze al mare aveva portato a una trasformazione del costume, che veniva realizzato con lavorazioni a maglia più elastiche e aderenti, eliminando la copertura di braccia e gambe e aprendosi in profonde scollature sulla schiena. Questa novità fu ripresa da Schiaparelli e divenne una delle sue specialità. Anche per lo sci cercò soluzioni più eleganti rispetto a quelle un po’ rigidamente montanare che erano in uso.

Nei primi anni Trenta le collezioni si allargarono alle toilettes da città e da sera, trasformando quella che era stata fino ad allora una produzione specializzata, in una vera e propria Maison de Couture.
Nonostante avesse iniziato questo lavoro senza avere la minima conoscenza della cultura manuale tipica della sartoria, Schiaparelli elaborò idee molto precise a proposito del modo in cui dovevano essere concepiti i vestiti.
I tailleur di tweed e le gonne pantalone divennero presto le specialità della casa, insieme agli abiti da sera completati con la giacca. Anche i decori cominciarono ad essere più provocatori: una di queste giacche, ad esempio, prevedeva due mani maschili guantate incrociate sulla schiena, come se la donna che la indossava fosse perennemente abbracciata da un uomo. Fra le frequentatrici della Maison Schiaparelli cominciavano ad esserci attrici di rilievo, come Katherine Hepburn o Ina Claire. Elsa, seguendo l’esempio di Chanel, scelse di indossare i suoi abiti personalmente a party e occasioni mondane, soprattutto quando si trattava di soluzioni nuove e stravaganti, quelle che nemmeno le clienti più eccentriche e alla moda avevano il coraggio di sperimentare per prime. Le sue origini aristocratiche e le sue amicizie all’interno del mondo degli artisti internazionali, le permisero di essere accettata alla pari dalla società del lusso. Lei stessa si sentiva un artista. Fare un abito era solo tecnicamente un problema di sartoria, ma in realtà era un modo per intervenire nella cultura estetica di un’epoca e delle donne che lo indossavano o lo vedevano indossato. Il vestito era il primo strumento di comunicazione interpersonale. Questo la indusse a cercare in ogni modo un rapporto diretto con i suoi “committenti” per influenzarli e condividerne le esigenze sociali; compagna di feste e consigliera di bellezza, questo era il ruolo che aveva scelto.

All’inizio degli anni Trenta aveva messo a punto una silhouette femminile che corrispondeva allo stile e all’ideale di donna che si stava facendo strada dopo la Grande Crisi del 1929; la ricchezza tornava ad essere un bene rarissimo che si poteva comunicare attraverso il lusso e l’estrosità di cui si mostrò maestra. Gli abiti dovevano proteggere la nuova donna dai contrattacchi del maschio, di cui stava sfidando superiorità e dominazione e di cui stava invadendo il territorio. Nella battaglia dei sessi i suoi abiti riflettevano un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno e aggressivamente seducente di notte. Difesa e sicurezza dovevano essere i principi informatori della divisa che l’esercito di donne impegnate nel lavoro indossava di giorno per procedere lungo la strada dell’emancipazione. Ma di sera si apriva lo spazio di un’altra battaglia, quella dei sessi. I dieci anni passati fra New York e Parigi le avevano insegnato che l’universo femminile cominciava a costruire un universo autonomo di cui l’uomo era la controparte, un nemico da fronteggiare per farsi spazio nel campo del lavoro. Vestirsi diventava una filosofia da gestire con sapienza e intelligenza. Per la battaglia quotidiana si trattava di costruire una divisa guerriera utilizzando particolari presi dall’abbigliamento da uomo. Nacque così la silhouette a grattacielo: linee dritte verticali e spalle larghe squadrate con il seno protetto dal doppio petto con i revers spesso puntuti e in colori contrastanti. Per ottenere questo effetto i vestiti venivano muniti di imbottiture che si collocavano soprattutto sulle spalle, sulle quali si concentravano anche le decorazioni. Il saccheggio del guardaroba maschile non si limitò ai segni secondari, come l’imbottitura, ma coinvolse tutta una serie di indumenti piuttosto inconsueti che contribuirono al diffondersi di un’immagine femminile sottile ma agguerrita: dolman* da cosacco, uniformi da ferrovieri, giacche rosse da cavallo, costumi da torero, cappe militari irrigidite da ricami, fino ad arrivare alle sontuose vesti dei dogi trasformate in mantelli da sera. Anche Chanel, nel decennio precedente, aveva adottato indumenti simili per costruire una divisa adatta all’emancipazione femminile, liberando il corpo dalle costrizioni e offrendogli una nuova e maggiore capacità di movimento, ma Schiaparelli andò oltre. Conquistato il comfort si trattava di connotare in modo più femminista l’abito, permettendo alla donna di trasmettere attraverso le sue forme e le sue decorazioni, la ricchezza del proprio mondo interiore, la sua femminilità. Ad una struttura assolutamente semplificata e poco mutevole (la divisa) affiancò una fantasia sfrenata che si espresse attraverso decorazioni e accessori, con cui interpretò le mille facce di una cultura femminile lussuosa, eccentrica, ironica e seducente che si espresse soprattutto negli abiti da sera. Esempio di questa ricerca furono i cappelli e i copricapi che assunsero le forme più inconsuete ed estrose trasformandosi in veri e propri strumenti di comunicazione.
Dal 1931 Schiaparelli cominciò a ingrandire la sede della Maison, occupando i primi piani del palazzo in rue de la Paix e aprendo un piccolo spazio vendite nel cortile. Insieme all’attività si era allargato anche il suo staff, che ormai prevedeva un responsabile per ogni settore operativo e una serie di collaborazioni, alcune delle quali durarono per sempre, tra le quali anche alcuni importanti artisti come Dalì e Cocteau, Giacometti, Leonor Fini e Christian Bérard. E fotografi come Meyer e Man Ray che aveva conosciuto a New York ma anche Horst, Beaton e la scoperta di Avedon negli anni del dopoguerra. Elsa continuò a lavorare sulla stessa silhouette, variandone costantemente l’immagine e la logica decorativa. Nel 1933 propose la linea scatola con cappe* che scendevano diritte dalle spalle formando angoli retti. L’anno dopo comparve la linea cono, ispirata a Poiret, con sontuosi pijama da sera, e poi la linea uccello: berretti alati, ali in spalla abbastanza grandi per volare, cappe alate su giacche da indossare di giorno e di sera, risvolti ad ala, coda ad ali, le esotiche colorazioni dei mari del Sud, le piume di fenicotteri, pappagallini verdi e canarini. Alla fine dell’anno presentò la silhouette temporale che sviluppò nella linea tifone, una versione aerodinamica del vestito degli anni precedenti.
Nello stesso periodo sperimentò una grande quantità di materiali, sintetici o rielaborati chimicamente, alla ricerca di effetti particolari che otteneva spesso mischiando elementi diversi o usandoli in modo mimetico.
Nel 1935 la Maison, nel pieno successo, fu trasferita in Place Vendome, in uno dei palazzi secenteschi realizzati da Mansart per Luigi XIV. La Boutique divenne subito famosa grazie alla nuova formula Pret-à-porter. C’erano i golf per la sera, le gonne, le bluse e tutti gli accessori sdegnosamente respinti dalla Haute Couture. Le vetrine erano divertenti e audaci e sconvolgevano tutte le tradizoni. La produzione non si limitava più alla sartoria, ma spaziava dai profumi agli accessori, dai bijoux agli indumenti sportivi. L’idea era offrire alle clienti sia la possibilità di vestire Schiaparelli dalla testa ai piedi, sia di scegliere anche un solo particolare estroso da aggiungere alla propria divisa quotidiana. La Boutique divenne uno dei punti obbligati della moda parigina. La nuova sede rappresentò una svolta anche nella sua attività creativa. Dal 1935 le collezioni ebbero una cadenza stagionale, divennero quattro ogni anno, cominciarono ad essere concepite ognuna intorno a un tema d’ispirazione che faceva da filo conduttore tra gli abiti, gli accessori, la loro presentazione in sfilata e la comunicazione sulla stampa. Elsa scoprì che seguendo questo metodo riusciva a progettare non solo l’abito, ma un’intera immagine femminile armonizzata in tutte le sue parti: dalla scelta del tessuto, alle allacciature, ai ricami fino al cappello, alla borse e alle scarpe, tutto poteva essere coordinato seguendo un’idea principale, scatenando la creatività in voli di fantasia ricchi di humour e di teatralità. Per la primavera del 1935 come motivo furono scelte le cerniere. Apparivano per la prima volta e con collocazioni inattese, persino sugli abiti da sera; realizzate in colori contrastanti rispetto al vestito così da accentuare la loro visibilità, furono un vero successo di vendite. Nella collezione estiva comparve il tessuto stampato a pagina di giornale che le era stato ispirato da una venditrice di pesce di Copenhagen che usava un copricapo di carta per ripararsi dal sole. La collezione d’autunno affrontò il tema politico e si chiamò “Fermati, guarda, ascolta”.
In dicembre andò a Mosca per rappresentare la Couture francese alla Prima Fiera Internazionale Sovietica e disse “ La Russia era un paese che decisamente mi affascinava e poi non voleva andarci nessuno e questo già di per sé era irresistibile. Un viaggio culturalmente rilevante fra le sconcertanti novità della Russia sovietica e le meraviglie delle collezioni imperiali di Mosca e Leningrado.
Il motivo del volo e dei nuovi mezzi di trasporto che cominciavano a solcare i cieli, fu alla base di entrambe le prime sfilate del 1936. La collezione invernale si adeguò invece alla moda che tutte le case parigine stavano proponendo: gli abiti bianchi, in sbieco, scivolati sul corpo, ispirati all’abbigliamento delle statue greche, Elsa interpretò a suo modo l’idea e realizzò sia abiti morbidi di raso sia modelli più vicini al suo stile, decorati da un motivo, probabilmente ripreso da una tappezzeria del primo Ottocento. Nella stessa collezione presentò un cappello che aveva il significato di una presa di posizione a favore del Fronte Popolare: una versione Haute Couture del berretto frigio*, che era diventato il simbolo degli scioperi che avevano sconquassato la Francia e le sartorie di Alta Moda. Schiaparelli risolse presto la situazione contrattuale delle persone che lavoravano nel suo atelier garantendo salari più alti della media, tre settimane di ferie l’anno e una particolare forma di assistenza malattia.

Dolman
mantello caratterizzato da maniche ampie e simili ad una sciarpa, cucite al corpetto del vestito, così da sembrare metà giacca e metà mantella.

Cappa
Mantello largo senza maniche, con due aperture laterali per far passare le braccia, dotato di cappuccio e spesso foderato di pelliccia

Berretto Frigio

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