venerdì 12 gennaio 2018

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 29. PANTALONI, IL GRANDE FURTO




"Per una società la condizione della donna è la misura del suo grado di civiltà"
Karl Marx




Non vi racconterò per intero la vera e propria storia dei Pantaloni ma affronterò la ben più interessante questione dell'introduzione di questo lungamente discusso capo di abbigliamento nell'armadio di noi donne.
Per darvi un breve cenno storico introduttivo direi solamente che i pantaloni sono nati più di duemila anni fa ed erano inizialmente utilizzati dalle popolazioni nomadi delle steppe euroasiatiche, a quanto pare indossati sia da uomini che da donne. 
Sembrerebbe invece che nelle antiche società occidentali si ritenesse l'uso dei pantaloni da parte delle donna un tentativo intollerabile di appropiarsi di privilegi e prerogative squisitamente maschili e per questo motivo in Europa i pantaloni faranno ufficialmente il loro ingresso nel guardaroba femminile solo nel XX secolo. 


Fino agli inizi del 1800 l'abbigliamento femminile era simbolo di una condizione che vedeva la donna appartenere all'uomo, costretta ad un' esistenza subordinata e austera. Le cose cominciarono a cambiare verso la metà del secolo quando in America si manifestarono i primi movimenti per l'emancipazione femminile. Le donne iniziarono a rivendicare il proprio ruolo sociale, il diritto al voto e il desiderio di realizzarsi nel lavoro e non solo nella famiglia, e i "calzoni" divennero il simbolo della rottura con un passato fatto di abiti tradizionali ormai scomodi e inadatti ad una quotidianeità più libera e attiva che le donne desideravano di inziare a vivere. Durante quegli anni nacque così il primo modello di pantaloni per signora, che prendevano ispirazione dall'abbigliamento tipico delle donne turche. Furono chiamarti Bloomers, dal nome dell'attivista e scrittrice americana Amelia Bloomer. Questa donna coraggiosa sperimentò in prima persona l'uso di un nuovo tipo di abito, esortando tutte le donne a imitarla, ma l'opinione pubblica reagì gridando allo scandalo. 



Bloomers

Gli indumenti da lei proposti erano tutto sommato pudici, una tunica al ginocchio sotto cui spuntavano ampi pantaloni allacciati alle caviglie, ma non riuscirono comunque ad affermarsi davvero in Europa, dove le donne più coraggiose che osavano indossarli erano bersagli di insulti anche pesanti. L'abito della Bloomer venne accusato di attaccare le basi della società; i giornali satirici si riempirono di vignette in cui donne in pantaloni comandavano a bacchetta uomini in abito lungo. Chiaramente escluse dalle chiese le sostenitrici della riforma dell'abbigliamento dovettero aspettare ben due generazioni per riuscire ad essere accettate. L'attentato alla moda contemporanea si rivelò così un fallimento perchè troppo prematuro.
In Europa i pantaloni non furono quindi inzialmente tollerati tranne nel caso di donne che facessero un mestiere da uomo. In Inghiltera le attività di estrazione erano all'epoca abbondanti e ben pagate, donne forti e intelligenti non esitarono a scandalizzare il perbenismo vestendosi da uomo e affrontando mansioni molto faticose ma assai redditizie. Le ragazze che scavavano nelle miniere di Carbone di Wigan furono le prime ad indossare i pantaloni per compiere il loro pericoloso e sporco lavoro, affiancate dalle cercatrici d'oro e dalle mandriane dei ranch in America.
Sarà il successo di massa dello sport e delle attività fisiche, come l'alpinismo o il ciclismo, a riuscire ad addolcire le norme proibizioniste allargando definitivamente l'uso dei pantaloni nella ricerca di maggiore comodità e naturalezza. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento lo sport diventò attività comune, insieme a viaggi e vacanze, richiedendo indumenti adatti alle situazioni in cui il corpo si doveva muovere liberamente e chiaramente i pantaloni erano l'abbigliamento ideale.
Arrivarono poi gli anni '30 e alcune celebrici attrici iniziarono ad indossare volentieri i pantaloni democratizzando così, se pur lentamente, un capo maschile anche per le donne ordinarie. Tra tutte Marlene Dietrich impose l'immagine di una donna androgina, sensuale e sfacciata. Un aneddoto curioso racconta che nel 1931 il sindaco di Parigi chiese alla famosa attrice di lasciare immediatamente la città dopo che fu vista passeggiare per le strade del centro in abiti maschili.



Marlene Dietrich


Ci vollero però i due terribili conflitti mondiali per rendere i pantaloni un'abitudine. Mentre gli uomini erano al fronte la popolazione femminile fu chiamata a sostituirli al lavoro nelle fabbriche, nei campi, negli uffici e negli ospedali e nel dopoguerra i pantaloni diventarono un capo di tendenza accettato anche per il giardinaggio, la spiaggia e altre attività di piacere. Insomma fu un percorso lento fatto di piccole conquiste ma quando si arrivò, esattamente cento anni dopo i primi movimenti femministi americani, a riconoscere l'uso dei pantaloni per la donna senza pregiudizi e accettandoli per ogni occasione, questo influenzò profondamente la mentalità femminile.









Verso la meta degli anni sessanta circa il cinquanta per cento delle signorine e signore inglesi, ma anche di quelle francesi, indossava i pantaloni. La marcia trionfale dei pantaloni procedette quindi a rilento come l'emancipazione. 
Concluderei questo post citando una legge in vigore in Francia nel 1800 per la quale chi voleva vestirsi come un uomo doveva presentarsi alla stazione di polizia e chiedere personalmente l'autorizzazione e ricorderei a tutti che una legge che vieta alle donne di indossare i pantaloni, in quanto ritenuti un capo d'abbigliamento indecente, è ancora valida in Sudan, dove la colpevole viene punita con quaranta colpi di frusta. 





LIBRI

Pantaloni & co collana"Il novecento, storie di moda" Vittoria de Buzzaccarini, Zanfi Editori

Women in Pants: Manly Maidens, Cowgirls, and Other Renegade
Catherine Smith e Cynthia Greig
Traces the history of the tradition of women wearing pants, providing accounts and photographs from the 1850s to the 1920s.


giovedì 11 gennaio 2018

Lezioni di cucito dal libro della nonna 51.SMACCHIARE



Ho ripreso in mano un piccolo libricino, che portavo sempre con me quando lavoravo come costumista e dovevo essere pronta a risolvere qualsiasi imprevisto prima di ogni ciak, e vorrei darvi alcuni consigli.
Uno dei peggiori nemici delle macchie è il tempo, più invecchiano e più difficile sarà rimuoverle, quindi sempre meglio agire nel giro di 24 ore e infine fare il lavaggio vero e proprio. La smacchiatura va fatta prima del lavaggio vero e proprio ma si devono conoscere la giuste tecniche e i materiali adatti da utilizzare.
Per eliminare una macchia bisogna:
-scegliere lo smacchiatore adatto in base al tipo di tessuto, al suo colore e alla natura della macchia
-togliere ogni prodotto che utiliziamo con acqua abbondante prima di utilizzarne un altro
-risciacquare con cura se si utilizza ammoniaca, acqua ossigenata, acido borico o perborato, prima di riindossare il capo.
- la macchia deve sempre essere tamponata, mai sfregata e trattata dal rovescio.
Vi consiglio di creare da voi un tampone, prendendo un tessuto bianco di cotone grande circa 25 x 25cm e posizionando al centro un batuffolo di cotone, pressarlo e chiudere il sacchetto con un laccetto.


GLI SMACCHIATORI
Aceto fissa e rinforza i colori
Acetone toglie smalti e vernici
Acido Borico ammorbidisce le macchie vecchie
Acqua ossigenata schiarisce i colori
Alcool scioglie colori vegetali e animali
Ammoniaca smacchia e rinforza i colori
Benzina scioglie le sostanze grasse
Candeggina è un decolorante e va usata sempre diluita
Glicerina scoglie i grassi minerali
Talco assorbe l'unto
Trielina scoglie i grassi


MACCHIA DI CAFFE'
Se la macchia è ancora umida, rimuovetela con un batuffolo di cotone imbevuto di acqua minerale gassata
Se la macchia è asciutta, toglietela tamponandola con la glicerina e poi passatela con acqua e ammoniaca.

MACCHIA DI CERA
Prima raschiate la macchia con il coltello poi prendete due fogli di carta assorbente e ponetene uno sotto e uno sopra la macchia e passate il ferro da stiro caldo. Se la macchia persiste tamponatela con acqua ossigenata a 12 volumi.

MACCHIA DI CIOCCOLATO
Se la macchia si è essicata, strofinatela con una pezza imbevuta di una soluzione di acqua e acido borico. Se la macchia è più recente passate la parte sporca con una pezza imbevuta di acqua tiepida e detersivo. Utilizzate una pezza che sia della stessa tinta del capo da smacchiare.

MACCHIA DI LIQUORE
Tamponate la macchia con cotone imbevuto di alcool a 90° e lavate con acqua e detersivo. Se la macchia è asciutta va inumidita con lo stesso liquore che l'ha prodotta e risciacquatela in acqua fredda.

MACCHIA DI MARMELLATA
Se la macchia è fresca usate acqua tiepida e sapone di Marsiglia. Se la macchia è essicata immergete il capo in una soluzione di acqua e acido borico e poi sciacquate.

MACCHIA DI OLIO E POMODORO
Prima del lavaggio normale in lavatrice, cospargete di talco e spazzolate. Per tessuti delicati tamponate con la triellina.

MACCHIA DI ROSSETTO
Sgrassate la macchia con un batuffolo di cotone imbevuto di trielina. Se il capo è di cotone tamponatelo con candeggina diluita in abbondante acqua; se il capo è di seta usate una soluzione di acqua ossigenata e acqua in parti uguali.

MACCHIA DI TE'
Se la macchia è recente, tamponate con cotone idrofilo imbevuto di acqua e acido borico (acqua borica). Se la macchia è vecchia va trattata prima con la glicerina e poi si tampona ugualmente con acqua e acido borico.

MACCHIA DI UOVO
I tessuti di cotone vanno immersi in una bacinella di acqua fredda con aggiunta di 2 bicchieri di acqua ossigenata. I tessuti colorati di lana e seta vanno immersi in una soluzione di acqua tiepida e ammoniaca nella proporzione di 2 cucchiai per litro di acqua.

Per tutti coloro che preferiscono utilizzare solo rimedi naturali, quindi niente smacchiatori, consiglio di guardare questo sito e cercare qui tutti i consigli utili per eliminare le vostre macchie. http://vivereverde.blogspot.com/

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 15. JACQUES HENRI LARTIGUE.

Soffermiamoci ancora un attimo agli anni '20 e '30 prima di continuare il nostro percorso nella storia della moda. Vorrei segnalarvi le bellissime fotografie di Jacques Henri Lartigue. Attraverso le sue immagini cogliamo un' intensa descrizione della borghesia, nuova classe sociale in ascesa all' inizio del Novecento, e ne possiamo osservare i costumi, le abitudini e le passioni.



Ecco il titolo di un libro molto bello da avere nella nostra libreria di casa
JACQUES HENRI LARTIGUE edito da Contrasto Due, 2010 € 12.50

Vi segnalo un testo molto interessante che ho trovato sull'argomento:

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 14. EDITH HEAD. La costumista delle grandi dive

Audrey Hepburn in Vacanze romane

Audrey Hepburn in Sabrina

Edith Head nasce a San Bernardino il 28 Ottobre 1897.
Nel 1923, pur non avendo alcuna esperienza nel settore, decide di rispondere ad un annuncio pubblicitario della Paramount Pictures che cercava lavoratori per il reparto costumi. Iniziò quindi come assistente di Travis Banton* disegnando costumi per i film muti; le venivano affidati i lavori più piccoli, per le attrici giovani e meno conosciute. La sua carriera alla Paramount durò ben 44 anni e nel 1967 si trasferì alla Universal. Lavorò in tutto sul set di oltre 400 film e vinse 8 premi Oscar.
Negli anni Trenta era già diventata una delle costumiste più affermate, ma furono gli anni Cinquanta e i suoi abiti realizzati per le grandi dive di quegli anni a consolidare il suo successo e a rendere i suoi abiti simbolo di una eleganza senza tempo.
Particolarmente stretto fu il sodalizio con Audrey Hepburn e incredibile fu l’impatto che ebbe lo stile inventato per l’attrice in Vacanze Romane sulla moda dell’epoca. In Colazione da Tiffany collaborò con lo stilista Hubert de Givenchy nella creazione del guardaroba dell’attrice.Lavorò per quasi tutte le pellicole di Hitchcock; indimenticabile Grace Kelly in La finestra sul cortile.

La finestra sul cortile

L'ereditiera

Caccia al ladro di Alfred Hitchcock con Grace Kelly e Cary Grant

Vinse l’Oscar nei seguenti film:
- L’ereditiera 1949
- Sansone contro Dalila 1951
- Eva contro Eva 1951
- Un posto al sole 1952
- Vacanze romane 1954
- Sabrina 1955
- Un adulterio difficile 1961
- La stangata 1974


Tondi occhiali da sole sempre indosso per essere imperscrutabile.
Completi eleganti e seriosi anche nei colori. Edith Head sapeva di non essere una donna attraente e ha scelto per sé un'immagine asutera e impeccabile.


Gloria Swanson in Viale del tramonto, 1950

Un posto al sole

* Travis Banton ha rivestito il ruolo di costumista per numerosi progetti cinematografici. Tra le sue creazioni più popolari, i costumi di: Il caso Paradine, Serenata a Vallechiara e Il dottor Jekyll.

Per chi vuole saperne di più:
EDITH HEAD'S HOLLYWOOD di Paddy Calistro e Edith Head
Edizioni Angel City Press (lingua inglese) € 18.60



Storia della moda nel XX secolo. Lezione 36. MARIPOL FAUQUE, la ragazza della polaroid







Quest'inverno è uscito un libro molto interessante. Io non l'ho ancora comprato ma mi piacerebbe farlo presto, ammetto di essere molto curiosa. Lei è Maripol Fauque. Conosciuta da molti come la ragazza della polaroid, per lei hanno posato tutti i più grandi della scena di New York, musicisti, attori, pittori…
Diplomatasi all’Ecole des Beaux Arts di Parigi, nel 1976 si trasferisce nella grande mela e viene travolta da una meravigliosa “fauna umana” di cui si innamora talmente tanto da rimanerci per sempre. Si mette subito in mostra grazie alla sua straordinaria creatività che si esprime attraverso la creazione di sculture da indossare, gioielli e vestiti ricavati da materiale di scarto industriale, un'idea di moda da sperimentare che la porta alla corte di Elio Fiorucci, in quel periodo simbolo della modernità metropolitana, con il quale lavora per anni come direttore creativo del mitico Fiorucci Fashion Store sulla 59th strada passando ben presto alla direzione creativa del marchio e dando vita a quel concetto di stile capace di uniformare, nella diversità, qualsiasi persona di sesso e classe sociale, un trend mondiale che ancora oggi possiamo vedere camminando per le strade di qualsiasi città.
Erano gli anni ’80 e Maripol riuscì ad entrare nel famoso studio di Andy Warhol, conquistando l’artista e diventando membro della Factory. Per anni ha disegnato e realizzato accessori per gli amici: da Cher a Blondie, fino a Grace Jones e Keith Haring. Sua l’idea dell’iconico abito da sposa indossato dall’amica Madonna sulla copertina di “Like a Virgin” (1984) scattata da Steven Meisel e sua la pazzia di vestire la cantante di pizzi, calze strappate e crocifissi; una pazzia che diventò un look copiato da milioni di adolescenti in tutto il mondo.
L’opera di Maripol come art director, designer, forografa e film producer ha influenzato la musica pop, la moda e l’arte sin dai primi anni Ottanta e per ben tre decenni.
Little Red riding Hood è un libro firmato dalla stilista e distribuito da Damiani, un imperdibile cimelio della moda per tutti i cultori delle stravaganze e della libertà stilistica dei famosi anni ’80.
Un viaggio di immagini e fotografie (nelle quali sono immortalati icone sacre come Cher, Grace Jones, Deborah Harry, Francesco Clemente, Kaith Haring, Elton John e molte altre), di schizzi, bozzetti, ritagli di vita, quaderni di appunti ma soprattutto una serie di testi autobiografici.
Questo libro racconta da vicino un pezzo della nostra storia che Maripol ha documentato assiduamente con la sua polaroid anno dopo anno.
Per chi ama la moda è di estrema importanza avere in biblioteca questo libro di tutto rispetto, che racconta un pezzo della storia della nostra società e della nostra evoluzione vestimentaria.

Maripol
Little red riding hood
280 pagine
Damiani Editore
€ 45.00
(online si può comprare con uno sconto del 30%!!)



Storia della moda nel XX secolo. Lezione 12. ELSA SCHIAPARELLI terza parte


Il surrealismo

Dal 1936 cominciò un periodo particolare nella ricerca di Schiaparelli. Già negli anni precedenti le sue creazioni si erano servite in modo inusuale delle tradizioni della moda; aveva usato segni maschili per l’abbigliamento da donna, aveva disegnato sulla figura strane forme con il trompe-l’oeil, aveva favorito il gusto femminile per il travestimento creando collezioni ispirate a oggetti particolari, aveva usato le decorazioni e gli accessori per comunicare contenuti psicologici. Voleva che le donne fossero se stesse, fantasiose ed estrose, voleva che comunicassero agli altri la propria individualità e la propria forza sfrontata. La forma di lusso che offriva alle sue clienti era permettere loro di non seguire le regole del senso comune. Vestirsi da paracadute o decorare il petto con tatuaggi da duro marinaio o da galeotto, non era un semplice fatto di moda, ma confondeva le carte di un consolidato linguaggio tra corpo e abito, agendo sulla cultura dell’apparire. C’era qualcosa nella sua maniera di fare moda che somigliava al sovvertimento delle regole dell’espressione e della comunicazione messo in atto dagli artisti dada e surrealisti che Schiaparelli aveva frequentato prima a New York e poi a Parigi. Probabilmente per questo, si rivolse a due di loro per capire meglio, attraverso il confronto dei rispettivi metodi, quanto il segreto linguaggio dell’inconscio, che il surrealismo stava sperimentando, potesse modificare le abitudini degli abiti. Le collezioni, a partire dall’autunno 1936, si articolano tutte su doppi filoni: da un lato Schiaparelli si concentrò sull’elaborazione di alcuni temi decorativi specifici attorno ai quali sviluppare l’intera collezione, dall’altra Cocteau e Dalì crearono singoli capi attraverso i quali doveva emergere il nuovo rapporto tra abito, corpo e pulsioni inconsce. Per l’estate 1937, Cocteau lavorò sul doppio e l’ambiguità. Dall’autunno 1936 Dalì rielaborò il tema del richiamo sessuale nascosto nella fascinazione vestimentaria e lentamente andò a fissarsi sul feticcio sessuale. Nella collezione autunnale del 1937 venne presentato un tailleur di crepê nero con le tasche rifinite da bocche femminili rosse, completato da un cappello a forma di scarpa con il tacco rosso. Simboli erotici e feticci dichiaravano quello che la forma rigorosa del tailleur aveva sempre cercato di mascherare. La conclusione cui sembrava essere giunto Dalì era che, per la cultura occidentale, il corpo femminile è un artificiale insieme di simboli di significato erotico che possono essere smontati e isolati per trasformarci in feticci. Scomparsa definitivamente ogni illusione di naturalità, la struttura anatomica della donna non era altro che un busto da sarta da vestire per comunicare con gli altri e da adattare all’idea di bellezza che di volta in volta la moda indicava, attraverso gli inanimati manichini delle vetrine e le irreali dive dello schermo. La persona intesa come immagine sociale dell’individuo, stava quindi solo nei vestiti.
Sempre nel 1937 Schiaparelli comunicò esplicitamente questa scoperta in due diverse occasioni. Per l’Exposition des Art et des Techniques, inaugurata a Parigi il 24 Maggio, realizzò un allestimento in cui il manichino che le era stato assegnato fu adagiato nudo, e quindi incapace di comunicare, su un prato e i suoi abiti furono appesi ad un filo, come un bucato. In secondo luogo, il nuovo profumo, che si chiamò Shocking come il suo colore rosa, venne commercializzato in una boccetta disegnata da Leonor Fini che aveva le forme del busto di Mae West e il tappo coperto di fiori. Il marchio era scritto su un metro da sarta che passava intorno al collo del flacone. Il messaggio era esplicito: la moda è un metro e un manichino, senza testa e senza vita, da decorare. Solo l’abito può dare un significato a questo essere inanimato e introdurlo nell’unico spazio di vita possibile, quello della comunicazione sociale.
Ma tutto questo a Schiaparelli non bastava. La donna era per lei un insieme complesso, composto da una forma anatomica e uno stato sociale, ma anche da un mondo interiore. Il nuovo ruolo che le donne avevano assunto negli anni Trenta doveva essere rappresentato attraverso una struttura sintattica razionale e stabile, come la divisa che lei stessa aveva inventato all’inizio del decennio. Ma rimaneva da affrontare il mondo interiore, la psiche.
Si trattava allora di ricorrere ad altri universi linguistici, di adottare altri modelli iconografici per esprimere altri significati e altre pulsioni della psiche femminile.
Schiaparelli si rivolse così al surrealismo e condivise il suo obbiettivo di liberare l’immaginazione poetica, consentendole di ritrovare la strada del meraviglioso per dare sfogo al mondo dei sogni. Creò così un linguaggio vestimentario in grado di comunicare la dimensione interiore della donna. Scelse il metodo della liberazione dell’immaginazione su temi specifici che affondavano nella sua infanzia (nelle sue memorie parla spesso con nostalgia dei meravigliosi libri illustrati che il padre conservava nella sua biblioteca). Capì che quello che le riusciva più stimolante era considerare il corpo della donna e la forma dell’indumento una specie di pagina bianca su cui scrivere il flusso delle fantasticherie che sorgevano spontaneamente nel momento in cui si metteva a lavorare su un tema. Le venne in aiuto il ricordo di Marcel Duchamp e del metodo di creazione che egli aveva inventato prima del 1915: il ready-made. Schiaparelli scelse lo stesso sistema: le figure si aggregarono sui suoi modelli senza alcun senso preciso che non fosse quello della sua fantasia poetica e quindi non furono più acrobati, insetti o vetrate, ma opere della sua immaginazione, favole che raccontava alle donne. La prima collezione che seguì fino in fondo questo criterio fu quella della primavera 1938 dedicata al circo. Sulla facciata di place Vendôme vennero appoggiate scale che servivano a gruppi di acrobati per fare i loro numeri entrando e uscendo da finestre e vetrine; all’interno, attori e pagliacci sbucavano all’improvviso. La sfilata venne organizzata come una parata ed era la prima volta che si presentava come un vero e proprio spettacolo. I vestiti presentati erano i soliti: boleri, gonne dritte e lunghe, pantaloni, giacche con le spalle squadrate, ma la novità stava nella decorazione. Lasage eseguì ricami straordinari ed enormi che rappresentavano il circo: cavalli, elefanti, trapezzisti ecc… I tessuti, concepiti appositamente, portavano stampe con analoghi motivi. I bottoni erano accoppiati alla decorazione dell’indumento ed erano piccoli gioielli a forma di ginnasti sospesi sulla giacca, cavalli ammaestrati, zucchero filato, bastoncini di liquirizia e quant’altro potesse ricordare l’allegra kermesse del circo. E poi c’erano collier a trapezio con gli acrobati e spille a forma di struzzo. Ovviamente anche i cappelli si adeguarono alla linea generale e furono piccoli feltri conici ispirati ai pagliacci, cappellini con la piuma come quelli delle scimmiette ammaestrate, coni di gelato rovesciati, finte galline da accompagnare a bottoni a forma di uova, magici calamai con la penna e l’inchiostro vero, da prestigiatore. Nell’Aprile 1938 Vogue dedicò alla sfilata una doppia pagina e a Maggio, Harper’s Bazar pubblicò un grande disegno che raffigurava Elsa Schiaparelli nelle vesti di una maga. La collezione seguente, quella dell’autunno 1938, si intitolava Païenne (pagana) ed esplorava il mito della natura. La natura bassa, quella del prato e del boschetto fece da traccia alla sua immaginazione che ricercò, fra i fili d’erba, le spighe di grano e le foglie, piccoli animali, insetti cangianti, fiori di campo, nocciole ecc… che si trasformarono in bottoni, si posarono sugli abiti ed entrarono nel materiale trasparente di una collana.
E poi, in agosto, presentò la collezione Cosmique, per l’inverno 1938/39, in cui emergeva tutto il suo immaginario sulla natura alta, quella celeste. Come se avesse lasciato vagabondare la sua fantasia fra le pagine dei libri del padre, ritrovò e riscrisse i mille segni con cui è stato tracciato il mito del cielo: lo zodiaco, il disegno infantile del sole e il carro di Apollo della fontana di Versailles, le vetrate variopinte delle cattedrali gotiche, gli angeli ecc… Tutti furono trascritti a ricamo sui capi. La prima sfilata del 1939 si articolò ad un tema più ambiguo: la maschera. L’oggetto da cui mosse il flusso creativo fu la Commedia dell’Arte con i suoi personaggi come Arlecchino, Colombina, Vivaldi e Cimarosa e l’immagine mitica della Venezia settecentesca. Anche in questo caso Schiaparelli ricreò un grande spettacolo popolare. Non è da escludere che questo tema fosse stato scelto come metafora della sensazione psicologica che la gente comune aveva di fronte alla situazione politica generale: quella di muoversi secondo canovaccio già scritto, all’interno del quale si potevano fare solo brevi divagazioni senza alcuna possibilità di sottrarsi al finale prestabilito.



La guerra

Nel 1938 l’Austria era stata annessa alla Germania, la Cecoslovacchia era stata abbandonata in mano ai nazisti, le trattative fra Hitler e Stalin mettevano in serio pericolo la Polonia. Le potenze europee, combattute tra la paura del comunismo e quella del nazismo, stentavano ad assumere una posizione chiara e definitiva. Schiaparelli realizzò ancora due sfilate, ma la sensazione che si percepiva era che tentasse una fuga dalla realtà richiudendosi all’interno del linguaggio della moda. Per l’autunno riprese un tema che aveva già affrontato, quello della musica, cercando di alleggerire un’atmosfera ormai pesantissima. Nonostante la frenesia di feste e balli che Parigi stava vivendo, era evidente che il mondo si trovava alla vigilia del conflitto e Schiaparelli decise di allestire le vetrine della boutique in Place Vendome come vetrine della pace, patetico sforzo per sostenere una causa perduta: un grande globo terrestre di vetro con colombe bianche che svolazzavano con in bocca un ramp d’ulivo. Ma la guerra scoppiò e negli anni seguenti non ci fù né il tempo né lo spirito per dedicarsi al linguaggio vestimentario e alla ricerca d’avanguardia. Per scelta politica, Schiaparelli non chiuse l’atelier. La prima collezione dopo l’inizio delle ostilità si chiamo Cash and Carry e prevedeva enormi tasche dappertutto; una donna obbligata a partire in fretta o a prendere servizio senza borsetta, poteva portare con sé tutto quello che le era necessario. C’era il blu Linea Maginot, il rosso Legione Straniera, il grigio aviazione, la salopette di lana che si poteva piegare su una sedia accanto al letto e infilare rapidamente in caso di raid aereo e di discesa in cantina. Presto anche la moda dovette fare i conti con una doppia realtà: da un lato quella di un quotidiano sempre più povero e privo di materiali, dall’altro quella dei nuovi ricchi legati agli affari degli eserciti invasori che volevano ostentare il loro lusso. Subito dopo l’invasione, Elsa Schiaparelli partì per gli Stati Uniti per raccogliere fondi e medicinali per i bambini francesi della zona non occupata. Contro il parere di tutti, tornò per portare a termine la sua missione e riprese a lavorare, ma presto fu costretta di nuovo a fuggire per evitare di essere catturata dai nazisti. Con mille peripezie riuscì a rifugiarsi ancora in America e lavorò per la Croce Rossa Internazionale e per il programma di aiuti alle popolazioni in guerra. Tornò in Francia nel 1944, appena dopo la liberazione di Parigi e partecipò a tutte le iniziative per far rinascere la Haute Couture francese. Ma la situazione era difficilissima: mancava tutto il necessario per fare gli abiti e quello che si riusciva a realizzare costava moltissimo.

I tempi erano cambiati e la società che emergeva dalle tragedie della guerra era totalmente diversa: la moda d’avanguardia degli anni Trenta non era adatta ai nuovi desideri di opulenza e di apparenza. La risposta all’emergente ricca borghesia internazionale la diede Dior nel 1947.
L’interesse di Schiaparelli nei confronti dell’Alta Moda sembrò diminuire, l’unico spazio che conservò intatto alla sua creatività fu quello degli accessori, che continuarono ad avere un carattere eccentrico e ironico. Nel 1954 chiuse l’atelier e terminò così la sua avventura.

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 37.The KYOTO Costume Institute




Il Kyoto Costume Institute è il solo museo giapponese sulla moda occidentale, uno dei più belli al mondo. La collezione  attualmente va dal XVII secolo ad oggi, con più di 12.000 capi di abbigliamento e 16.000 documenti. L’istituto ha ricevuto donazioni da alcuni dei migliori stilisti e case di moda di oggi come Chanel, Christian Dior e Louis Vuitton.
Dal sito si può accedere all' archivio digitale con foto di circa 200 pezzi della loro collezione.


i

Lezioni di cucito dal libro della nonna 39. IL CARTAMODELLO DELLA MANICA DELLA CAMICIA CASUAL


Per la costruzione della cuffia della manica della camicia casual con 2° grado di vestibilità, si procede come abbiamo fatto per quella classica con solo alcune varianti:
- la misura AB della manica viene ridotta ulteriormente della misura pari all'abbassamento della spalla (esempio 6 cm), come nel cartamodello del corpetto della camicia.
- le misure BC e BD sono pari al segmento AB della manica, senza tenere conto dell'abbassamento della spalla, aumentate di 8,5 cm e 8 cm rispettivamente.
- le misure di FF1, GG1, II1 e LL1 sono di 0,5 cm.
- la lunghezza della manica, AM, viene ridotta della misura dell'abbassamento spalla (esempio 6 cm).
- la misura N1O1 è uguale alla larghezza del polsino aumentata dell'entità delle piegoline da realizzare (la collocazione e il numero delle piegoline non sono fissi, ma stabiliti in relazione al figurino).
- la sagomatura del fondo manica, idonea per l'esecuzione di piccole pieghe al polso, si effettua individuando i punti P e Q posti a metà dei segmenti N1M e MO1 rispettivamente, quindi innalzando da P ed abbassando da Q, due segmenti di 0,5 cm (ottenendo P1 e Q1) e sagomando come mostra il grafico.

RIEPILOGO

AB= 2/3 AB1 della camicia casual - 1,5 cm - abbassamento spalla
BC=AB (manica) + 8,5 cm (senza abbassamento spalla)
BD=AB (manica) + 8 cm (senza abbassamento spalla)
AA1= 2 cm + 0,25 cm x grado di vestibilità
A2E= 2/3 A2C
A2F= 1/2 A2E
CG=1/2 CE
FF1= 0,5 cm
GG1= 0,5 cm
A1H= 2/3 A1D
A1I= 1/2 A1H
DL= 1/2 DH
II1= 0,5 cm
LL1= 0,5 cm
AM= lunghezza manica - abbassamento spalla - altezza polsino + 2 o 3 cm
NN1 e OO1= (NO - larghezza fondo manica) : 2
N1P = 1/2 N1M
MQ1 = 1/2 MO1
PP1 = QQ1 = 0,5 cm
O1R = 1/3 O1N1
RR1= 10 cm

Lezioni di cucito dal libro della nonna 40. COME PREPARARE IL TESSUTO PER IL TAGLIO

Dopo aver visto come si costruiscono i cartamodelli base della gonna, del corpetto e della manica, compresa la costruzione della camicia, e le relative più classiche rielaborazioni, ho deciso di interrompere per un po’ l'argomento modelli, per ritornarci più avanti con la costruzione del pantalone. Ritengo sia utile ora affrontare anche le altre fasi del lavoro, preferisco darvi tutti gli strumenti necessari per una confezione dalla A alla Z, così potete iniziare a lavorare sui primi vostri progetti con sicurezza.
Oggi vediamo come si prepara il tessuto per il taglio, perché è essenziale per fare un buon lavoro, saper preparare in modo corretto il tessuto.

Innanzitutto prima di spiegare i procedimenti, capiamo la struttura del tessuto.
Nella tessitura i fili fissi o ORDITO sono intrecciati ad angolo retto con i fili di TRAMA. Una striscia tessuta in modo stretto, chiamata CIMOSA, corre lungo ciascun bordo laterale del tessuto finito. Il dritto filo dell’ordito è parallelo alla cimosa e la trama è di conseguenza perpendicolare. Qualsiasi diagonale che interseca questi due fili è lo SBIECO.


Nella maggior parte dei capi il dritto filo dell’ordito corre verticalmente, cioè dalla spalla all’orlo. Il dritto filo della trama è più cedevole e quindi cade dando un aspetto più ampio al capo.
Quando pieghiamo un tessuto dobbiamo stare molto attenti a raddrizzare le estremità così da avere l’allineamento del dritto filo. Per fare questo possiamo adottare uno di questi metodi:
Lo strappo è il più veloce, ma è adatto solo a stoffe a trama fitta, altri tipi di tesuto potrebbero rovinarsi; io personalmente lo faccio solo quando stò lavorando con una pezza di cotone puro.
Tirare un filo è il metodo invece più lento, ma il più adatto ai tessuti di trama larga.
Tagliare lungo una linea in evidenza è un metodo veloce, semplice, per le stoffe che abbiano un disegno a linee decise.


Il controllo dell’allineamento del tessuto è indispensabile. Durante la lavorazione può capitare che il tessuto si sposti e i dritti filo non siano più ad angolo retto perfetto. Un capo tagliato su un tessuto non in dritto filo non cadrà mai bene.


Per rendere irrestringibile un tessuto lavabile dobbiamo trattarlo prima di iniziare a lavorare, cioè lavarlo e asciugarlo, seguendo eventualmente le istruzioni che ci ha dato il negoziante. Io personalmente, per quanto riguarda cotone e lino faccio un lavaggio in lavatrice a 40° senza detersivo, lasciando la pezza piegata, poi li metto a stendere e infine li stiro. Per quanto riguarda lana e seta, io non eseguo nessun trattamento, perchè il capo finito dovrà essere lavato a secco.

Lezioni di cucito dal libro della nonna 41. COME PREPARARE IL TESSUTO PER IL TAGLIO. seconda parte


Prima di posizionare i pezzi del nostro cartamodello sul tessuto, dobbiamo identificare qual'è il lato dritto della stoffa che stiamo per tagliare. Spesso è evidente, ma a volte è necessario fare molta attenzione. Al momento dell'acquisto il cotone è generalmente piegato con il dritto all'interno, mentre la lana esattamente al contrario. Se il tessuto è arrotolato su un tubo, il dritto è sempre all'interno. Le stoffe lisce sono più lucenti e morbide sul dritto, le stoffe a tela hanno la lavorazione più evidente sul dritto. Le irregolarità, come i piccoli nodi, sono sempre più visibili sul rovescio. I tessuti fantasia, come il broccato, sono più morbidi sul dritto e sul rovescio hanno solitamente qualche filo sciolto volante. I disegni stampati sono più netti sul dritto. La cimosa è più liscia sul dritto. Alcune maglie si arrotolano sul dritto quando si tirano di traverso. Il diritto è più resistente al logorio. Quando non ci sono differenze molto evidenti, consiglio di fare un segno con il gesso, sul lato che abbiamo capito essere il rovescio, così da non rischiare di fare confusione.

A questo punto possiamo prendere in mano il nostro cartamodello. Bisogna fare bene attenzione ad avere tra le mani tutti i pezzi che ci servono, non di più e non di meno. Dico questo soprattutto nel caso in cui si lavora con un cartamodello acquistato, perchè nella busta ci sono quasi sempre più modelli contemporaneamente e non dobbiamo sbagliare. Consiglio di essere sempre il più possibile ordinati e quindi di riporre immediatamente via tutte le parti del modello che non ci servono, così da evitare ulteriori perdite di tempo o drastici errori. Può capitare che si acquista un pezzo di stoffa stupendo ma poi si sbaglia a tagliare. Allora si torna di corsa al negozio per comprarne ancora un po' e provare a rimediare al guaio, ma il tessuto è finito e la nostra splendida idea non potremo più finire di realizzarla.
Bisogna anche stabilire quante volte si deve tagliare ogni singolo pezzo. Nei modelli acquistati è già indicato ma se siamo noi a costruire i nostri modelli, non dobbiamo mai dimenticare di indicare quanti pezzi ne abbiamo bisogno.

Lezioni di cucito dal libro della nonna 42. LA PIEGATURA DEL TESSUTO PER IL TAGLIO

Prima di puntare il cartamodello è necessario determinare come il tessuto deve essere tagliato. Le cimose devono combaciare esattamente, per evitare che il tessuto slitti è meglio mettere degli spilli ogni 5-6 cm. Se il tessuto viene comprato già piegato, bisogna assicurarsi che la piega si possa togliere e che non sia permanente (può succedere quando si compra un tessuto vecchio) e quindi deve essere evitata quando si taglia. Il tessuto si piega sempre con il dritto all'interno, tranne nei casi in cui si sta usando un tessuto peloso, quando i disegni devono combaciare o quando si lavora con stampati grandi.



Vi sono due modi per piegare la maglia:
- Si può segnare una costa in lunghezza
- Si può far combaciare le imbastiture trasversali usate per raddrizzare le estremità
E' molto difficile tagliare la maglia, soprattutto quando è molto sottile, bisogna assicurarsi che non si muova, perdendo il drittofilo.











Lezioni di cucito dal libro della nonna 43. APPUNTARE IL MODELLO SULLA STOFFA


Per appuntare il modello sulla stoffa, l'ordine da seguire è da sinistra a destra, dalla piega alla cimosa. Per ciascun pezzo, appuntare in ordine: prima la piega o freccia che indica il dritto filo, poi gli angoli e infine tutti i margini. Sistemare i pezzi sempre il più possibile vicini, per consumare il minimo necessario di tessuto. Appuntare gli spilli diagonalmente sugli angoli e perpendicolarmente ai margini, con le punte interne alle linee di taglio. Fare molto attenzione ai tessuti delicati sui quali restano i buchi degli spilli, e vanno quindi appuntati nello spazio riservato alle cuciture. Non esagerare mai con l'uso degli spilli, perchè troppi possono deformare il tessuto rendendo difficile un taglio esatto. Mentre si taglia io consiglio di tenere sempre una mano appoggiata sul modello per mantenere tutto ben fisso e mai spostare il tessuto prima di aver tagliato tutto !!! Non lasciare pendere il tessuto dal tavolo di lavoro. Se il tavolo non è abbastanza grande per contenere tutti i pezzi del modello, si appunta e si taglia un pezzo per volta, ripiegando il restante tessuto. Se si ha a disposizione un tavolo grande, la cosa migliore è posizionare e appuntare tutti i pezzi contemporaneamente così si rischia meno di dimenticare qualche pezzo, non si perde tempo ad accertare che il tessuto sia sempre ben piegato e si consuma meno stoffa.